Tutto inteso a mostrarci Perché il mondo vegetale ci assomiglia più di quanto crediamo, come evidenziato già a partire dal sottotitolo, l’impianto del volume del filosofo della scienza Paco Calvo, Pianta Sapiens, si colloca sul filo del paradosso nel divario che ci confronta con la sconcertante alterità di quelle onnipresenti forme del vivente.

Che, per quanto imprescindibili per la nostra esistenza di animali umani – con le nostre capacità percettive e organi di senso tarati su altre scale, nonché i molteplici autoinganni di una prospettiva tutta antropocentrica –, ci risultano spesso così difficili da comprendere talché nei loro riguardi, fin dagli anni novanta, si parla di una nostra umana, irriducibile cecità (con Natalie Lawrence, traduzione di Allegra Panini, Il Saggiatore, pp. 360, € 23,00).

Un’alterità, quella delle piante, cui occorre rapportarsi quindi con uno sguardo diverso e un’attenzione nuova, propri di una ricerca multidisciplinare che nel solco di un filone ormai cospicuo di studi da alcuni anni concorre a ripensare un mondo naturale fatto di molti attori interconnessi e relazioni in continuità, smontando e faticosamente correggendo convinzioni riguardo a centralità e supremazia del punto di vista umano sull’universo. E dell’intelligenza come suo presunto tratto esclusivo.

Per cercare di comprendere la vita interiore delle piante, approssimarsi a intendere la vera natura della loro intelligenza, un certo acume o ingegnosità oltre l’adattamento reattivo, di pure e semplici risposte automatiche e nella direzione di una capacità cognitiva anticipatoria – i girasoli non reagiscono ma anticipano la direzione del sole –, flessibile, e interessata a produrre cambiamenti nell’ambiente, una serie di studi che si collocano sul crinale tra botanica e scienze cognitive vengono qui ripercorsi fino alle più recenti acquisizioni. Dalla fisiologia alla neurobiologia vegetale – ma anche dalla biosemiotica alla fitoetica –, riconvocando per le piante capacità a lungo ritenute di dominio esclusivo degli animali. Dal movimento della circumnutazione dei viticci già studiati da Darwin alla ricerca di un sostegno nello spazio al funzionamento della comunicazione di meccanismi elettrici di segnalazione di un sistema fitonervoso che risponde a stimoli, variazioni di luce, temperatura, a sofisticati esempi di apprendimento, capacità di ricordare (condizioni di siccità precedenti, conservando acqua) e di distinguere, nella competizione per le risorse, specie diverse dalla propria.

Nell’inestricabile dialettica tra fisiologia e comportamento, tra qualche scetticismo e nell’ambito del più generale dibattito sulla natura della coscienza, spesso si affaccia la questione controversa su come considerare che le piante siano senzienti, in senso lato coscienti, e di come i tratti di una loro specifica intelligenza o vita cognitiva, insomma una coscienza vegetale tra molte virgolette, comporti implicazioni etiche, considerazioni sul loro statuto morale, e anche a una loro presa in conto come soggetti di personalità e diritti.

Un intero capitolo è dedicato poi a illustrare come la nuova prospettiva che ci inducono ad acquisire questi attori vegetali sia di ispirazione in vari ambiti, dalla biomimesi alle suggestioni sui tipi di materiali da loro impiegati. Fino a come stiano giocando un ruolo importante, per esempio nell’ispirare nuovi paradigmi nella robotica, aprendo una nuova era di Robot verdi, con corpi modulari, capaci di estendersi nello spazio.

Un dinamismo, quello delle piante, fatto di crescita piuttosto che non locomozione. Per i nostri pregiudizi animali che inestricabilmente collegano invece movimento e intelligenza, così poco immediatamente apprezzabile e comprensibile. Anzi sconcertante. Tanto che, senza scampo, fin nel titolo misuriamo il divario con il vegetale basandosi su quanto… ci si somiglia.