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Pablo Diaz sopravvissuto alla repressione della dittatura argentina: «Il destino mi ha scelto e io non l’ho tradito»

Pablo Diaz sopravvissuto alla repressione della dittatura argentina: «Il destino mi ha scelto e io non l’ho tradito»

Argentina Intervista a Pablo Diaz. Con altri studenti venne sequestrato nel 1976. Unico a salvarsi oggi ricorda i suoi compagni

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 27 aprile 2016

Lopez, Maria Claudia, Claudio, Horacio Angel, Daniel, Maria Clara, Pablo… Avevano tutti fra i 16 e i 18 anni i 6 ragazzi sequestrati in Argentina il 16 settembre del 1976. Nomi destinati a far parte dei 30.000 scomparsi provocati dalla giunta militare, che aveva preso il potere il 24 marzo di quello stesso anno. Uno, però, si è salvato e ha reso onore alla memoria dei compagni scomparsi. Si tratta di Pablo Diaz, diciottenne della gioventù guevarista, prelevato da casa sua il 21 settembre e condotto insieme agli altri in uno dei luoghi segreti di tortura. Lì agiva il personale addestrato alla Scuola delle Americhe, fucina dei dittatori sudamericani voluti dalla Cia. L’operazione contro gli studenti aveva il nome in codice di “La notte dei lapis”, rimasta nel ricordo popolare come “la notte delle matite spezzate”. Lo stesso titolo che il regista Hector Olivera ha dato al suo film del 1986. La notte dei lapis è invece il titolo del libro di Maria Seoane e Hector Ruiz Nunez, ispirato alla vicenda e pubblicato da Portatori d’acqua per la cura di Alessandra Riccio e con la prefazione di Goffredo Fofi. Oggi, il film verrà proiettato a Brescia al Cinema Nuovo Eden, nell’ambito della rassegna cinematografica Al cuore dei conflitti, promossa da Lab 80 e Federazione Italiana Cineforum (Fic). Domani, libro e film saranno a Bergamo alla Fiera dei Librai (19,30 e 21). Pablo Diaz, che ha accompagnato le tappe della rassegna, ha accettato di rispondere alle domande del manifesto.

Una domanda percorre il libro, la domanda di tutti i sopravvissuti: perché io? A distanza di tutti questi anni, qual è stata la sua risposta? Chi l’ha tirata fuori da quell’inferno?
Senza dubbio, ogni sopravvissuto ha il suo carico da portare. Però ci sono due strade parallele che scorrono in me. Una vuole sapere perché mi è arrivato quel salvacondotto all’ultimo momento che mi ha evitato di essere ucciso come i miei compagni, e l’altra è personale, intima: il destino ci doveva dare la possibilità di preservarci dall’oblìo… ha scelto me e io non ho tradito. Però, certo, mi chiedo perché. Penso che abbia pesato la ricerca incessante dei miei genitori per arrivare a chi avesse il potere di decidere della vita e della morte. Sono arrivati fino al vescovo di La Plata, perché erano una famiglia molto cattolica. Il vescovo disse a mio padre che il colonnello dell’esercito che andava a confessarsi da lui, gli aveva garantito che non mi avrebbero ucciso, ma che avevo bisogno di un periodo di “recupero ideologico” a causa delle mie idee… Inoltre, secondo mia madre, mio padre si liberò di molti dei nostri beni per pagare in denaro sonante quel colonnello.

Cosa ricorda della sua prigionia nel campo di tortura?
Tutto. Ho conservato nella memoria le prove per ognuno dei processi contro i repressori. Per me, ogni dettaglio è una testimonianza, una deposizione.

In che contesto si è situato il suo sequestro? Come valuta le scelte di allora?
Il momento storico in cui sono stato giovane io è stato un periodo di grandi sconvolgimenti mondiali: dal Maggio francese, alla rivoluzione cubana, passando per il Vietnam e il Cile di Allende e poi del colpo di stato… Era il tempo dell’immaginazione al potere. Negli anni ’70, la possibilità di prendere il potere per modificare la società capitalista era qualcosa di possibile, si trattava solo di decidere il luogo e le modalità dello scontro. La gioventù o l’adolescenza significava assumersi la responsabilità di essere attori reali della crescita di coscienza dei lavoratori e dei poveri e del loro cammino verso il potere. Un obiettivo permeato dal romanticismo degli ideali umanisti in cui si cela l’amore per il prossimo. Su 234 adolescenti fra i 14 e i 18 anni, scomparsi durante la dittatura, quasi tutti hanno lasciato una poesia o un racconto in cui la parola “ti voglio bene” o “ti amo” è coniugata al desiderio di cambiare la realtà del popolo o a quello che il povero smetta di soffrire per la sua condizione di povero. Noi, studenti adolescenti eravamo il pensiero critico,senza dubbio la nostra militanza attiva implicava il risveglio di possibili lotte politiche, sindacali o sociali. La dittatura ci identificò come potenziali sovversivi o guerriglieri… una follia fondamentalista o una possibile verità. Non sapremo mai quale sarebbe stato il nostro destino…

Dopo aver riconquistato la libertà, lei ha deciso di partire come volontario durante la guerra delle Malvinas, con la quale la giunta militare cercò di evitare il declino, il 2 aprile del 1982. Perché? E qual è la sua opinione sulle Malvinas oggi che l’America latina bolivariana appoggia la rivendicazione argentina contro l’Inghilterra?
Sono stato liberato dopo aver trascorso cinque anni in una prigione per detenuti politici. Nell’82 ho deciso di andare volontario alla guerra delle Malvinas. So che molti si sorprendono per questa mia decisione, però vedevo che ci andavano ragazzi di 18 anni e ho pensato di farlo per la causa. Non appoggiavo la dittatura, ma il significato simbolico di quella guerra e la possibilità di conquistare l’integrazione dell’isola alla nostra patria. Oggi, i tanti morti giovanissimi si aggiungono al sentimento grande della perdita. Continuo a sostenere la rivendicazione, ma non la guerra come possibilità di acquisire l’isola alla nostra sovranità.

Che pensa della svolta neoliberista realizzata da Macri oggi?
Vedo che ogni governo neoliberista divorzia dagli attori sociali. Il lavoro o l’assistenza ai settori meno favoriti non sono priorità per le grandi corporazione del mercato, non si agisce per incorporare alla classe media i settori più poveri, anzi, molti di classe media ricadono in povertà a causa della svalutazione del loro potere d’acquisto. Temo che l’assottigliamento dello Stato come protettore dei lavoratori e dei poveri, considerato l’aggiustamento ideologico della spesa pubblica, voluto dall’Fmi, porti alla violenza sociale. Ritengo, tuttavia, che il neoliberismo abbia imparato la lezione: avendo ottenuto il potere con mezzi democratici, conquistando il voto dei cittadini, deve salvare una parvenza di stato sociale. Un’attitudine che potrebbe sorprendere i settori popolari. Il governo Macri, si nutre quindi di parametri nuovi. Inoltre, anche i movimenti popolari non sono stati esenti dalla corruzione al proprio interno o non hanno saputo liberarsene per tempo. A un certo punto si è voluto difendere l’indifendibile rispetto ad alcuni attori sociali. O meglio, aver tardato a fare autocritica rispetto agli atti di corruzione ha prodotto una separazione con certi settori di classe media che assumono la bandiera dell’onestà (tralasciamo se in buona fede o strumentalmente). Il governo popolare, in una certa maniera, non ha protetto adeguatamente le forme di assistenza sociale, e oggi ha lasciato queste pratiche esposte al giudizio interessato della giustizia opportunista di turno. Detto altrimenti, la giustizia in generale è al servizio del governo di turno, e logicamente i giudici o il partito dei giudici si sentono più tranquilli con il governo neoliberista che garantisce i loro interessi di mercato. E’ ovvio.

Macri, che continua a licenziare lavoratori e impiegati, non ha una buona relazione con le Madri di Plaza de Mayo e con i difensori dei diritti umani che con i governi Kirchner hanno lavorato per il recupero della memoria e la ricerca dei desaparecidos. E ha anche messo in galera la deputata indigena, Milagro Sala. Pensa che il ritorno delle forze conservatrici possa azzerare i processi e il bilancio sugli anni della dittatura civico-militare?
A rigore, la politica dei diritti umani non dovrebbe coincidere con la classe che governa oggi. Però, anche qui, ci sono delle sorprese dovute alle lezioni apprese di cui parlavo prima. Credo che chi governa farà di tutto per mantenere la forma. Non fermerà i processi ai repressori, o ai militari già anziani della dittatura. Manterrà una relazione cordiale con le Abuelas de Plaza de Mayo, rispettando il protocollo politico della presidente dell’associazione che ha come primo obiettivo la ricerca dei nipoti scomparsi, al di sopra delle convinzioni politiche. Dove invece il governo mostrerà contraddizioni sarà nella difesa della propria classe imprenditoriale: si useranno le dovute cautele per metterla al riparo dai processi che giudicano le complicità degli imprenditori con la dittatura. Su questo, vi saranno sicuramente discussioni interne all’esecutivo e vedremo cosa produrranno.

Macri ha deciso indebitare il paese per pagare i fondi avvoltoio. Cosa può succedere ora?
L’Argentina, o meglio, la sua classe media, diventa irascibile quando le si tocca lo stomaco, la possibilità di divertirsi, di viaggiare, di consumare…Per ora, l’esito delle politiche economiche di Macri appare incerto. E la pace sociale dipende dalla possibilità di inclusione che porti beneficio alla maggioranza della popolazione. Se riesce a far questo, governerà per anni. Altrimenti, Dio (per dirla in modo popolare) o la gente, deciderà il finale.

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