Cultura

P22, il puma star di Hollywood Hills

P22, il puma star di Hollywood HillsIl puma P-22 (particolare) – Foto di David McNew/Getty Images

Into the wild / 1 Storia del grande felino che passeggiava nei luoghi di «Mulholland drive» e «Gioventù bruciata». Una volta morto, il suo corpo venne affidato agli abitanti nativi della regione: per loro quell’animale era un insegnante sacro

Pubblicato più di un anno faEdizione del 12 agosto 2023

Il caso dell’orsa JJ4 e il suo contrastato rapporto con l’altra specie – quella umana – ha dato l’avvio a questa serie di pagine culturali che indagano la relazione con il selvatico da diverse prospettive. C’è quella «reale» (che comunque sconfina nell’immaginario, come il puma di cui si parla nell’articolo qui presentato) e quella della finzione letteraria o storie dai tratti leggendari: dalle fiabe alla scoperta (spesso non veritiera) dei «bambini delle foreste», alle simbologie risvegliate dai lupi alle porte della città, passando per l’intima famigliarità con la selva dello scrittore uruguayano Quiroga. E poi ci sono le orse di Artemide, i meravigliosi incontri sottomarini, il desiderio di tornare «indigeni», l’empatia con animali e le fantasie equine di Turgenev a Tolstoj. Senza dimenticare le commistioni di uomini e maiali irlandesi e l’utopia vegetale di riunire diversi mondi in un unico giardino assai «indisciplinato».

 

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C’erano forti emozioni e commozione in sala stampa quel mattino di dicembre, un senso palpabile di cordoglio. «Noi crediamo che venerdì per P22 sia stato un ultimo bel giorno, invece di una lunga scia di brutte giornate…». Chuck Bonham del California Fish and Wildlife si interruppe, come avrebbe fatto ripetutamente quella mattina di dicembre, per soffocare un singhiozzo.
La conferenza stampa era stata convocata per comunicare ai giornalisti che gremivano la sala che il puma più amato di Los Angeles era effettivamente stato soppresso dalle autorità per alleviare una sofferenza che le analisi avevano confermato intense e senza rimedio. «È stata una decisione molto difficile – aveva aggiunto dal podio Beth Pratt direttrice regionale del Wwf nazionale, mentre si asciugava gli occhi –. Ma è stata inevitabile, quell’animale non meritava di soffrire».

LA NOTIZIA era immediatamente rimbalzata in città, sui siti dei quotidiani e in testa alle notizie date dai dj delle radio, i social media si erano illuminati di migliaia di tweet e post-ricordo. Era dalla scomparsa di Kobe Bryant che LA non si stringeva in un simile lutto collettivo. La storia del grosso felino, adottato a mascotte cittadina, era iniziata nel 2010, quando la sua effigie sfuggente era stata catturata per la prima volta da una fotocamera automatica posta sulle penici delle Santa Monica mountains, lungo il crinale che dalle colline settentrionali scende verso la costa di Malibu.
In quel settore nord-occidentale della città, la macchia mediterranea si stacca dalla pianura urbana in una serie di canyon che emanano profumi di salvia e finocchio selvatico, popolati da una fauna che spesso sconfina entro il territorio urbano.
Los Angeles, oltre alla meritata reputazione di megalopoli, ha il meno noto primato della metropoli zoologicamente più diversificata degli Stati uniti. Lo sanno bene gli abitanti dei quartieri limitrofi alle zone di «wilderness», dove è normale imbattersi in coyote che ti attraversano la strada, opossum e orsi lavatori che fanno un gran baccano intrufolati nei cassonetti della spazzatura, o l’occasionale cervo nel giardino di casa.
Qui, presumibilmente una dozzina di anni fa, è nato P22 cui ancora cucciolo i ranger della forestale gli hanno apposto un radiocollare per monitorare i suoi movimenti. Hanno seguito lo spostamento progressivo del giovane maschio verso una sezione più antropizzata di quella catena collinare che chiude la città sul versante settentrionale: le Hollywood Hills e i quartieri alla moda di Los Feliz e Silverlake. Sono i luoghi di Mulholland drive e Gioventù bruciata e per arrivarci, P22 ha dovuto attraversare ben due freeways – le autostrade a dodici corsie che solcano la città e di solito rappresentano una barriera insormontabile per chi si sposta su quattro zampe – la prima delle gesta che lo avrebbero reso famoso.

LE HOLLYWOOD HILLS sono circondate da fitto abitato su tre lati, ma sono anche protette da Griffith Park, il parco urbano più grande d’America che si estende su un’area di quaranta chilometri quadrati, quattro volte Central Park. È terreno donato dal Colonello Griffith, uno dei capitalisti fondanti della città, perché questa lo amministrasse a perpetuo beneficio della cittadinanza. Griffith Park non è un parco curato con prati e aiuole: in gran parte è una riserva di natura nel suo stato originale, senza le apocrife palme importate per i filari dei viali, ma coperta invece di vegetazione bassa e aromatica, piante native che si inerpicano sulle ripide colline (una delle quali reca una certa famosa scritta a nove lettere cubitali).
Sui sentieri del parco i losangelesi si vanno a perdere per schiarirsi le idee, fanno jogging o yoga, leggono una sceneggiatura o semplicemente camminano, raggiungendo uno dei panorami che, nelle giornate limpide, regala viste mozzafiato fino al mare e l’isola di Catalina.

CAPITA, OVVIAMENTE, su quei sentieri, di imbattersi in una star che non riesce a dissimulare del tutto la propria identità con occhiali da sole e cappelletti – fa parte del quotidiano nel parco che confina coi teatri di posa della Warner e della Universal. Ma, come segnalava il Los Angeles Times nel lungo ed accorato necrologio che dedicava qualche mese fa a P22, la celebrità più indiscussa era proprio lui. Chi aveva avuto la ventura – e sono stati molti – di imbattersi nel maestoso felino a tarda notte mentre portava spasso il cane, o di incrociarlo con i fari nelle sue ronde notturne su qualche contorta strada in collina, acquisiva il diritto di raccontarlo in innumerevoli cene con gli amici.
La sua fama divenne presto universale, le sue gesta riportate da giornali e notiziari, come quella volta che un operaio lo trovò rintanato sotto una casa di Los Feliz. Il quartiere si riempì di luci lampeggianti e di elicotteri in cielo, mentre sui Tg passavano sottopancia con aggiornamenti sulla situazione, prima che lui scivolasse, non visto, nella sterpaglia.

CON OGNI AVVISTAMENTO aumentava il tifo che la gente faceva per lui e la sua fiera resistenza alla modernità che lo insidiava, come un Geronimo solitario, simbolo e speranza di un pizzico di libertà, e di selvatico, nel nostro mondo di ingorghi e cemento. Ci fu un documentario, la mostra che gli dedicò il museo di scienza naturale… le effigi sulle magliette, i tatuaggi, il giorno in suo onore decretato dal consiglio municipale. Una specie di Truman show di cui P22 era star e protagonista.
Una volta, avvelenato da un’esca per ratti, dovette essere sedato e curato con iniezioni ricostituenti per alcune settimane, mentre la città seguiva col fiato sospeso i bollettini dei veterinari. Né hanno nuociuto alla sua fama i servizi fotografici pubblicati da National Geographic e altri, ritratti degni di un portfolio hollywoodiano, appunto. P22 è immortalato indomito nelle sue ronde notturne, sullo sfondo della scritta che campeggia sulle «sue» colline – il predatore più glamour del mondo.
Con la megalopoli distesa ai suoi piedi, P22 pattugliava un territorio che gli zoologi avevano decretato di estensione non lontanamente sufficiente (un puma adulto di solito controlla cento chilometri quadrati), troppo piccolo soprattutto per potersi imbattere in una compagna. Una condizione malinconica che gli era valsa il titolo di «scapolo delle colline».

ALLA FINE, come accade con tutti i leading man, anche per lui è suonata la campana. L’autunno scorso P22 iniziò a comportarsi in maniera erratica, spingendosi sempre più addentro i quartieri abitati. Fu protagonista, in quel periodo, di una serie di attacchi a cani, in un’occasione rincorse un malcapitato passeggiante fino all’uscio di casa. Le foto recenti rivelavano un pelo che aveva perso la sua lucentezza, intaccato dalla scabbia, un animale fortemente dimagrito. Nuovamente catturato, fu sottoposto a analisi che rivelarono un trauma cranico e ferite riportate in una probabile collisione con un’auto. La diagnosi dei veterinari fu impietosa ma ineluttabile: P22 non sarebbe potuto tornare alle sue ronde solitarie. Anche per lui era, infine, arrivato il capolinea.

IL SUO CORPO fu affidato agli abitanti originari della regione che considerano i puma insegnanti e animali sacri – membri delle tribù Gabrieleño, Tongva e Chumash che lo hanno sepolto in una località delle Santa Monica Mountains. Oggi porta il suo nome un ponte in via di costruzione sopra all’autostrada che separa quelle montagne – e la loro popolazione di puma a rischio di isolamento genetico – dall’entroterra. La prima infrastruttura autostradale riservata ai grandi felini che potranno, si spera, tornare a pattugliare territori più vasti, evitando gli invasori che, nelle loro automobili incolonnate sotto, possono solo sognare la libertà delle colline.

 

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