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Ozawa-Murakami, l’arte di scambiarsi chiacchiere musicali

Ozawa-Murakami, l’arte di scambiarsi chiacchiere musicaliLeonard Bernstein con Ozawa Seiji

Onde sonore Governata dalla pacata autorevolezza giapponese, una conversazione tra l’autore di Norwegian Wood e il grande direttore d’orchestra: «Assolutamente musica», Einaudi

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 3 novembre 2019

Una urgenza espressiva analoga a quella che, più di mezzo secolo fa, spinse François Truffaut a pubblicare il frutto delle sue lunghe e stimolanti conversazioni sul cinema con Alfred Hitchcock ha indotto ora lo scrittore Murakami Haruki e il direttore d’orchestra Ozawa Seiji, a dialogare sull’argomento eloquentemente espresso dal titolo, Assolutamente musica (traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, pp. 312, e19,50). Da appassionato competente, Murakami mette a frutto, negli incontri con lo straordinario musicista, una lodevole curiosità, selezionando argomenti e spunti di discussione in totale libertà, come a comporre una rapsodia di parole.

Ozawa lo asseconda, alimentando una conversazione che resta quasi sempre leggera nelle forme e fruibile nella sostanza, al riparo da tecnicismi troppo spinti. La fitta schermaglia verbale non concede distrazioni al lettore, a testimonianza di quanto conti il ritmo, che – dirà Murakami ad Ozawa, sorprendendolo – sostiene la frase musicale e quella scritta in modo del tutto comparabile.

Registrazioni 2010-11
Diversamente dall’incontro fra Hitchcock e Truffaut, tuttavia, questo tra i due artisti orgogliosamente giapponesi (intonato a un senso di cortesia tipicamente orientale: il «lei» è d’obbligo dall’inizio alla fine) avviene tra figure certamente distanti per storia e vocazione. L’orientamento musicale di Murakami, anche nella compiutezza delle osservazioni e delle informazioni elencate, resta soprattutto quello dell’ammiratore al cospetto del proprio idolo e, in quanto tale, non innesca alcun meccanismo, più o meno consapevole, di confronto ed emulazione.

Le varie conversazioni, registrate nel periodo 2010-2011 (segnato da vari problemi di salute per Ozawa) mantengono, dunque, il tono di una chiacchierata colta tra gentiluomini, incluse le lunghe pause per il tè e i dorayaki, svelando punti di vista personali su argomenti artistici di interesse comune. Si discute, a tavola o in treno, a casa o in hotel, di direttori d’orchestra e di orchestre, di dischi e di spartiti, di Serkin e di Kleiber, di oriente e di occidente. Senza gossip ma anche senza la pretesa di rivelare verità assolute.

Dal novero dei musicisti oggetto della conversazione restano fuori quelli poco affini al gusto orientale («Ginastera? Mai sentito», scrive a un tratto Murakami) e, naturalmente, quelli meno legati alla sontuosa carriera di Ozawa. Certi temi sono trattati fugacemente e da un angolo visuale quasi remoto: dagli scambi di opinioni su Puccini, per esempio, emerge un’idea di melodramma fin troppo patinata.

La pacata autorevolezza con la quale alcuni pareri vengono espressi non evita, tuttavia, di renderli sempre condivisibili: complicato, per esempio, definire poesia la lentezza esasperata (talvolta insostenibile) del fraseggio di Glenn Gould nel Primo di Brahms, come avviene – invece – nel ricordo affettuoso e politicamente corretto restituito da Ozawa.

Persino alcune ipertrofiche riletture di pagine barocche degli anni Settanta vengono giustificate e assolte dal maestro, pur tra qualche tentennamento. Murakami detta i tempi del lungo, articolato testa a testa, quasi si divertisse, per una volta, a fare lui il direttore; nelle domande dell’autore di Norwegian Wood si apprezza la diligenza tipica del cultore della materia. Ozawa sta al gioco, gli piace che l’interlocutore citi a memoria ogni suo disco: «Ho molti amici melomani – dirà alla fine – ma nessuno ama la musica quanto Haruki». La galleria dei ricordi è popolata di figure leggendarie: Bernstein le domina tutte. Quando Ozawa ne parla, lo chiama sempre e soltanto Lenny, usando parole affettuose; Karajan, invece, è «il maestro», tributato di reverente gratitudine, che è cosa diversa dall’affetto.

Gli organici più amati
Trovano spazio significativo, tra le pagine del libro, le molte orchestre prestigiose alle quali Ozawa ha legato il proprio nome, passate in rassegna fino a tracciarne un ritratto chiaramente decifrabile, basato sulle caratteristiche di suono, ciò che distingue un’orchestra da una grande orchestra. La Saitö Kinen e la Chicago Symphony sono le creature predilette di Ozawa: la prima perpetua la memoria di Saito Hideo, didatta e gloria nazionale, offrendo un esperimento di convivenza possibile tra all star internazionali: «Anche Claudio – racconta Ozawa – avrebbe seguito il nostro esempio»: per lui Abbado è stato un amico importante molto prima che un collega. E poi l’orchestra di Chicago, accudita amorevolmente da Ozawa per quasi trent’anni fino a renderla riconoscibile e unica attraverso quel suono, appunto, costruito in interminabili sessioni di prova.

Per chiunque abbia imparato anche solo sui dischi ad amare le doti e la passione di Ozawa, autentico genio del podio, il dialogo offerto da Assolutamente musica non è una sorpresa, solo una conferma rassicurante di come qualche volta la grandezza dell’artista e dell’uomo possano coincidere.

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