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Ovashvili, figure con paesaggi

Ovashvili, figure con paesaggiDa «Corn Island», 2014

Registi europei A Torino ospite di CinemAmbiente e del Museo Nazionale del Cinema il cineasta georgiano

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

All’interno della cinematografia della Georgia – una delle più sorprendenti dell’attuale panorama internazionale, che sta vivendo un periodo di grande fermento e creatività al quale, dai primi anni del nuovo secolo, contribuiscono con un ruolo di primo piano molte registe, si pensi a Nino Kirtadze, Nana Ekvtimishvili, Nino Basilia e alle più giovani Ketevan Kapanadze e Elene Naveriani, quest’ultima puro talento il cui secondo lungometraggio Wet Sand del 2021 è uno dei film più potenti, di febbricitante densità politica e poetica, realizzati in questi anni – un posto di rilievo è occupato da George (in georgiano Giorgi) Ovashvili la cui opera indaga il passato recente e il presente del suo Paese con sguardo sobrio e potente, tanto capace di sintesi diegetica quanto aperto a una visione libera e fluida nel filmare gli ambienti rurali e urbani protagonisti dei suoi lavori al pari dei personaggi descritti.

Ovashvili è in questi giorni a Torino ospite di CinemAmbiente e del Museo Nazionale del Cinema. Il festival dedicato alle tematiche ambientali lo ha scelto come uno dei giurati del concorso documentari e lo omaggia con la proiezione di Corn Island (domani 11 giugno alle 17 al cinema Massimo, cui seguirà un incontro con il regista). Al Museo sarà invece in programma (sempre al Massimo, da lunedì 12 a mercoledì 14) la retrospettiva integrale di Ovashvili (che il 12 presenterà in sala Khibula alle 20.30) intitolata con pertinente precisione «Paesaggi con figure» e comprensiva degli altri suoi tre lungometraggi e dei suoi cortometraggi, di rara visibilità. Una doppia occasione imperdibile per scoprire il percorso di un autore che ama re-inventarsi e affrontare nuove sfide creative.
Nato a Mtskheta, una delle città più antiche della Georgia, nel 1963, Ovashvili si è laureato in cinema e teatro all’università statale di Tbilisi per poi proseguire gli studi alla New York Film Academy nella sua sede di Hollywood. Regista, sceneggiatore e produttore dei suoi film, Ovashvili inaugura la sua filmografia negli anni Novanta realizzando i corti A Very Short Story (1993) e Wagonette (1997), seguiti nel 2005 da un altro breve lavoro, Eye Level…, che viene presentato al festival di Berlino. Si tratta di preludi al suo esordio nel lungometraggio. È il 2009 quando Ovashvili firma Di là dal fiume, basato sul romanzo The Trip to Africa di Nugzar Shataidze, e primo capitolo di una ideale trilogia che compone un ritratto della complessa situazione storica e politica della Georgia agli albori della sua indipendenza dall’Unione Sovietica avvenuta nel 1991 e negli anni immediatamente successivi dove esplose il conflitto tra la Georgia e la regione separatista dell’Abkhazia (dichiaratasi unilateralmente indipendente nel 1992 con il sostegno della Russia e non riconosciuta dalla maggior parte delle istituzioni mondiali) sfociato in guerra e in uno stato di tensione permanente.

Costellato da dissolvenze a nero che chiudono ogni tappa del lungo viaggio intrapreso dal protagonista, il dodicenne georgiano Tedo, nel suo solitario ritorno a casa (un impossibile ritorno a una «casa» che non c’è più) da Tbilisi – dove si era rifugiato con la giovane madre (non in grado di prendersi cura di lui, anche lei sradicata e apolide) scappando sette anni prima dall’Abkhazia per via della guerra – a Tkvarcheli, in territorio abkhazo, alla ricerca del padre, Di là dal fiume è un on the road che si snoda dalla periferia della capitale a strade, campi, colline, montagne, fiumi di-segnando l’odissea di un bambino rifiutato da tutti, anche coloro che temporaneamente lo accolgono rimettendolo poi in strada. Tedo assomiglia all’Antoine Doinel de I 400 colpi di François Truffaut e a un hobo georgiano peregrinante su treni, bus, auto con il suo piccolo fagotto, fingendosi sordomuto quando attraversa il confine conteso e controllato dai soldati russi perché non parla né russo né abkhazo.

Come il successivo Corn Island (2014), Di là dal fiume traccia una mappa dello spaesamento e dell’instabilità dove si intrecciano tre lingue (georgiano, abkhazo, russo) e emergono sfumature umane che vanno oltre i separatismi. Ma se Di là dal fiume è un road movie, Corn Island ha per set unico un’isoletta che ogni anno il fiume Enguri, che divide la Georgia e l’Abkhazia, fa emergere in primavera per poi sommergerla di nuovo mesi dopo con altre inondazioni. Quel fazzoletto di terra diventa così una no man’s land occupata di volta in volta da contadini che vi stazionano per seminare e raccogliere il grano. E qui Ovashvili offre un controcampo sociale essendo i due personaggi principali, un nonno e una nipote, abkhazi, mentre militari georgiani pattugliano la zona in motoscafo, in un film quasi muto e dove nessun personaggio ha un nome.

Ovashvili torna alla sua singolare visione di road movie nel suo terzo lungometraggio Khibula (2017). A differenza dei due precedenti, non connotati temporalmente pur se richiamanti un periodo preciso della storia georgiana, Khibula (nome del villaggio dove il 31 dicembre 1993 trovò la morte il primo presidente della Georgia Zviad Gamsakhurdia per un colpo d’arma alla testa, forse ucciso, forse suicida) è aperto e chiuso da didascalie che contestualizzano i fatti e, anche qui ricorrendo a pochi dialoghi, descrive il lungo peregrinare non di un bambino bensì del presidente, del primo ministro e di un piccolo gruppo di fedeli sulle montagne del Caucaso dove hanno trovato riparo allo scoppio della guerra civile. Un’erranza che sembra non finire mai, un viaggio verso l’abisso popolato di volti pieni d’espressività (come in tutto il cinema di Ovashvili) – il presidente è interpretato dall’attore iraniano Hossein Mahjoub.

«Dopo aver realizzato una sorta di trilogia, con Beautiful Helen ho preso una strada nuova – afferma Ovashvili – I tre film precedenti sono strettamente collegati tra loro perché si basano su una narrazione di tipo visivo, mentre in Beautiful Helen l’architettura del film è fondata su altri elementi del linguaggio cinematografico: il dialogo e la recitazione». Ulteriore variazione sull’on the road, Beautiful Helen (2022) mette in campo la giovane donna del titolo, tornata in Georgia dopo un periodo trascorso a New York, e un regista di mezza età in crisi di cui lei diventa assistente. I sopralluoghi per il nuovo film portano la coppia lontano da Tbilisi, verso luoghi di montagna nei quali addentrarsi. Per riflettere sul senso di fare cinema in un costante slittamento e gioco di specchi tra film e film nel film e su questioni esistenziali, compreso il suicidio. «In questo momento desidero focalizzarmi sul presente che ho attorno a me, sulla realtà che viene costruita oppure distrutta dai giovani d’oggi in Georgia – spiega Ovashvili – Sento che è nata in me un’energia creativa particolare, laddove si intersecano i miei interessi personali e quelli professionali». La proiezione torinese sarà preceduta dal cortometraggio più recente del regista, Frost and a Little Schoolboy (2023), a completare la panoramica sul suo cinema attratto da nuove ricerche.

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