Oumou Sangaré: «Ho seguito i miei sogni e le mie battaglie: canto per i più deboli»
Incontri Parla l'artista maliana che inaugura stasera a Reggio Emilia il Festival Aperto
Incontri Parla l'artista maliana che inaugura stasera a Reggio Emilia il Festival Aperto
Apre oggi la quattordicesima edizione del Festival Aperto a Reggio Emilia: quest’anno la kermesse, che offrirà spettacoli di musica, danza, circo e teatro fino a novembre inoltrato, si intitola Saturno ha 80 lune (www.iteatri.re.it/tipo/aperto/). Ad inaugurare stasera al teatro Valli è Oumou Sangaré, stella della world music, ambasciatrice dei diritti calpestati delle donne, dei deboli, degli ultimi. L’artista maliana è conosciuta per la sua arte mossa da un fuoco urgente, custode di messaggi importanti e non retorici perché vissuti sulla propria pelle. Dall’uscita del suo album di debutto Moussoulou nel 1989 è passata una vita: inarrestabile e poliedrica, la cantante, ha pubblicato quest’anno Timbuktu, un disco intriso di blues, che ci porta la voce dei quartieri di Bamako e una visione contaminata e personale della musica africana. Com’è noto, il Mali versa da anni in una condizione particolarmente critica. «Guardo al mio paese come fa ogni maliano oggi; siamo in una fase delicata e ne siamo tutti consapevoli, dobbiamo farci i conti nella nostra vita di ogni giorno. Vediamo inoltre le difficoltà che ci sono in ogni parte del mondo».
ANCHE L’INDUSTRIA musicale sta attraversando un’epoca complicata: «Lasci che le dica la verità, all’inizio le cose erano più semplici. Senz’altro non ero nota come lo sono oggi, ma, mi creda, andare in tour era meno complicato. Ultimamente ci sono problemi sotto ogni punto di vista: pandemia, visti ritardati fino all’ultimo giorno, più controlli, meno denaro in circolo per noi artisti e tutto l’indotto, porte chiuse al libero movimento delle persone. Non per questo certo mi scoraggio. La vita è una lotta. Ho deciso di essere la voce di chi è senza voce».
Oumou da sempre si fa megafono delle donne africane: «Sappiamo tutti che ricoprire un ruolo del genere in un continente come il nostro è ancora più impegnativo. Non mi aspettavo i riconoscimenti che ho ottenuto (Comandante dell’Ordine Nazionale del Mali, ambasciatrice Onu dei diritti sulle donne, ambasciatrice Fao, cavaliere della cultura in Francia, nda); ho solo seguito i miei sogni e le mie battaglie. Alla fine dei conti ho sempre lottato per le donne di tutto il mondo e sono felice di essere fonte di ispirazione per altre persone. Questa è la cosa migliore di tutti questi riconoscimenti: fungono da passaparola e possono aiutare altre donne e uomini a trovare ispirazione e motivazione». Nei suoi dischi Sangaré ama contaminare le sue canzoni: «Per espandere i confini della mia arte non ho remore a contaminarla: il legame con il blues che viene dai nostri antenati, l’afrobeat (ha collaborato con il batterista Tony Allen, nda), il funky, l’elettronica».
Gli uomini nel mio paese lasciano il tetto coniugale per sposare altre donne: è permesso dalle nostre leggi e nessuna donna può opporsi.
OUMOU è stata abbandonata giovanissima dal padre: lei e sua madre hanno dovuto faticare non poco per sbarcare il lunario, ma ha avuto la forza di tramutare in canto i colpi bassi dell’esistenza: «Canto le cose di tutti i giorni, le situazioni che deve affrontare la gente comune. Si tratta semplicemente della mia vita. Ho sofferto molto vedendo come ha dovuto vivere mia madre: ero la sua prima figlia e questo mi ha stimolato a cambiare le cose. Gli uomini nel mio paese lasciano il tetto coniugale per sposare altre donne: è permesso dalle nostre leggi e nessuna donna può opporsi. Quando viene abbandonata, una madre deve farsi carico da sola dei figli. Perciò ho deciso innanzitutto di mettere in luce questo fatto, così come tante altre cose che rendono dura la vita delle donne in tutta l’Africa. Non disponiamo in generale di risorse sociali per aiutarle o per educarle a fare le cose in un altro modo. Anche mia madre era una cantante e il mio primo ricordo musicale è questo: eravamo a casa, lei cucinava e cantavamo insieme. Poi quando ero alla scuola primaria ci fu un concorso di canto e lo vinsi: avevo sei anni. Lei era lì con me e, prima che fosse il mio turno,mi disse di chiudere gli occhi e immaginarci sole nella nostra cucina. Ancora oggi questa memoria riemerge ogni volta che ho bisogno di staccare e poi di riconnettermi con me stessa. Chiudo gli occhi e canto».
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