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Otto Prutscher e una preziosa biblioteca

Otto Prutscher e una preziosa biblioteca«The little devil and the princess», illustrazioni Marie Cramer, 1925

L’esposizione Alla Braidense di Milano, «Un filo d’oro (1900-1938)»: la collezione Prutscher di libri viennesi per bambini, fino al 15 aprile

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 marzo 2023

C’è voluta una donazione perché Milano si accorgesse di Otto Prutscher, tra i protagonisti dell’architettura e delle arti applicate nella Vienna della prima metà del Novecento. Le sue meraviglie raccolte o da lui stesso ideate, sono state custodite dal 1949, anno della sua morte, tra Como e Milano dalle figlie Helly e Ilse che in Italia si stabilirono dalla capitale austriaca dopo alterne vicende familiari che ebbero inizio con l’Anschluss nazista.

Il lascito alla Biblioteca nazionale Braindese di più di trecento pezzi tra libri illustrati, leporelli e cartoline appartenute alle sue figlie è volontà di Beba Restelli, figlia di Ilse. Alle sue premure dobbiamo la possibilità di ritrovarci tra gli oggetti, i disegni e i libri di una tra le figure più singolari della cultura artistica austriaca che ha attraversato movimenti e associazioni: dall’Art Nouveau alla Secession, dall’Art Déco al Werbund fino alle istituzioni della «Vienna Rossa».

Prima però di illustrare l’esposizione dal titolo Un filo d’oro (1900-1938): la collezione Prutscher di libri viennesi per bambini (fino al 15 aprile), occorre dire che con grave ritardo si è giunti a questa mostra. Ci fu un tentativo, fallito, nel 1996 con Marco De Michelis alla Triennale, due anni dopo l’uscita del numero monografico della rivista Metamorfosi, quaderni di architettura che rappresentò la prima ricognizione sull’opera dell’architetto viennese dopo quella di Max Eisler del 1925.

Tuttavia va ricordato che si deve all’impegno di Ilse e di sua figlia, ma anche a quella prima pubblicazione, se si giunse nel 1997 alla riscoperta dell’architetto viennese con la mostra Otto Prutscher 1880 -1949, Architektur, Interieur, Design, allestita nelle sale dell’Hochschule für angewandte Kunst, già Kunstgewerbeschule, nella quale egli insegnò dal 1909 e dalla quale fu espulso nel 1938 perché sposato con Helene di religione ebraica, riammesso poi nel 1945.

Infine è bene aggiungere che è stato il Mak ad allestire nel 2020 con l’acquisizione di oltre un centinaio di disegni, oggetti e mobili dei coniugi Hermi e Fritz Schedlmayer, la mostra Otto Prutscher, Allgestalter der Wiener Moderne (vedi alias 12 aprile 2020).

I collezionisti austriaci, proprietari di Villa Rothberger a Baden (con Villa Bienenfeld una delle due ville disegnate negli anni Venti da Prutscher nella città termale) s’incontrarono con Ilse forse grazie a quell’iniziativa intrapresa da un gruppo di studiosi e della quale Marco Pozzetto scrisse con la sincerità che lo contraddistingueva: «ancora una volta la rivalutazione dell’opera di un artista viennese problematico parte dall’Italia».

Questa premessa dunque era necessaria per distinguere ciò che rappresenta una novità, da ciò che invece dell’opera di Prutscher sono ormai argomenti acquisiti e bene indagati. Sarebbe stato meritorio per questa ragione che nel catalogo (Corraini edizioni) fossero inserite, oltre al regesto, le schede biografiche dei protagonisti e una pur essenziale bibliografia.

La novità della quale si è fatto sopra cenno sono proprio i libri d’infanzia di Helly e Ilse rimasti tranne qualche rara eccezione poco noti agli studiosi, un lato riservato della loro vita familiare che però si dimostra d’indubbio significato per comprendere il mondo dei Prutscher e la polifonia della cultura mitteleuropea nella quale erano immersi.

Nel dettagliato vaglio che nel suo saggio ne fa Lara Verena Ballenghi (co-curatrice della mostra insieme a James M. Bradburne) i libri rinviano innanzitutto a delle persone: il pittore e pedagogo Franz Cizek con le sue quattordici litografie natalizie e nella cui scuola infantile Helly imparò l’arte di disegnare le lettere; il regista Wolf Albach-Retty che donò a Ilse «il diavoletto e la principessa» illustrato dall’olandese Marie Cramer; l’artista Margarete Hamerschlag, illustratrice di Gioie d’infanzia, come Otto abituale frequentatrice dei laboratori della Wiener Werkstätte; il critico letterario Percival Pollard che regalò i Ricordi di Oscar Wilde con i disegni di Aubrey Beardsley o ancora Arthur Rössler, il gallerista artefice della scoperta di Schiele, che a Ilse diede Il giardino ticchettante di Richard Zoozman con le illustrazioni di Kurt Lange.

Nella biblioteca di Prutscher insieme all’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert e al «Kunstformen der Natur» di Ernst Haeckel trovavano posto libri solo all’apparenza destinati alla lettura delle sue figlie. È il caso del Die Nibelungen di Franz Keim illustrato da Carl Otto Czeschka, un capolavoro dell’arte grafica viennese, che nel blocco del formato quadrato stilizza cose e figure producendo un «effetto tendente al pattern» che come scrisse Giovanni Fanelli è «di una precisione di visione eletta e rara». La scelta del formato quadrato, come testimoniano altre pubblicazioni in mostra dell’editore dei Nibelunghi, Gerlach & Wiedling, divenne anche per l’industria libraria il segno distintivo dell’adesione alle nuove tendenze artistiche, adottato da riviste d’arte come Ver Sacrum o Wendingen è ricorrente nella città nei motivi decorativi dell’architettura di Olbrich e Wagner, o negli interni di Moser e dello stesso Prutscher.

L’«accumulo» dei libri donati ben disposti dentro teche allineate in due file, non potendo considerarla una collezione secondo la giusta definizione di Bradburne ripresa da quella che Alan Bennett fece dire ad Anthony Blunt per la Royal Collection, consente, quindi, di esplorare le fantasie, i sentimenti e il gusto di una colta e poliglotta famiglia borghese viennese la cui vita quotidiana s’interseca con le vicende storiche e artistiche della Vienna fin de siècle, capitale del modernità. Che tutto ruotasse intorno all’idea di «arte totale» (Gesamtkunstwerke) è un fatto evidente quanto è chiaro che la vita privata dovesse aderirvi attraverso una «educazione permanente» dagli inizi precoci.

In una delle ultime interviste che Ilse rilasciò nel 2010 a Monica Bassi riguardo il sodalizio artistico tra il padre e Richard Teschner, artista e artefice del teatro di figura oltre ad essere tra i suoi amici più vicini, riferì che «a Vienna tutto era arte e soprattutto teatro». Per gli adulti c’era l’opera (Burgtheater, Hofoper) e la commedia (Stadttheater) mentre per Helly e Ilse un teatrino da camera tutto per loro con le marionette di Teschner.

Molti dei libri in mostra riguardano lo spettacolo: la danza con lo Schiaccianoci e il re dei topi di E.T.A. Hoffmann, il teatro delle marionette con il Coraggioso Cassian di Schnitzler illustrato da Oskar Laske oppure rinviano alle meraviglie delle scenografie teatrali di Remigius Geyling: i suoi disegni compaiono nel piccolo libro Il sarto in paradiso dei Fratelli Grimm da lui stesso colorati.

Dopo avere ammirato i raffinati leporelli di Lotte Calm, quelli di Franz von Zülow e le dolci cartoline di Pauli Ebner, la rassegna termina con una serie di oggetti disegnati da Prutscher, tra posate, servizi da caffè, un armadietto giapponese e la raffinata statuina a figura intera in porcellana di Helly di Powolny: solo un cenno alla multiforme capacità creativa di Prutscher che, per distrazione, per qualche decennio si era dimenticata.

Adesso che una parte dei suoi libri sosta nella grande sala della Biblioteca istituita da Maria Teresa d’Asburgo, forse, è giusto ricordare le parole di Hannah Arendt a commento della concezione dell’arte di Hermann Broch: «l’artista deve badare soltanto a fare un ‘buon’ lavoro e non un ‘bel’ lavoro». Per lo scrittore viennese il «valore» della bellezza, argine al kitsch, dimorava solo nella «rettitudine», quella che Prutscher espresse con il suo «lavoro» e che insieme alla moglie Helene, seppe rivolgere all’educazione delle sue figlie e della quale i loro libri ci parlano.

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