Un numero listato a lutto questo di Alias dedicato all’8 marzo, non c’è niente da festeggiare, ma piuttosto ricordare gli omicidi di donne che sembrerebbero essersi moltiplicati in vista della ricorrenza. Passiamo direttamente la parola a una delle protagoniste del bel documentario di Monica Repetto Le nostre ferite, programmato al Torino Film Festival e ora tra i finalisti dei Nastri d’argento 2021. Ci riporta a quegli anni di guerra, dal 1974 al 1979 in cui alcuni superstiti di attacchi terroristici raccontano la loro esperienza. Tra gli altri protagonisti del film, anche Annunziata detta Nunni, racconta quel mattino del 9 gennaio 1979, una data che segna come la conclusione di un’epoca, quando insieme ad altre compagne del collettivo casalinghe, Rosetta Anna, Gabriella e Linda, fu vittima dell’assalto fascista dei Nuclei armati rivoluzionari, mentre andavano in onda su Radio Donna, trasmissione autogestita di Radio Città Futura fondata da Renzo Rossellini.

L’obiettivo era stato precisamente sferrare un attacco contro un gruppo di donne che il martedì mattina dalle 10 alle 11 tenevano una trasmissione molto seguita dove si affrontavano tutte le problematiche d’attualità, sociali e politiche. Un obiettivo non casuale contro donne che non si dovevano permettere di alzare la voce da una radio per dire cosa deve fare una donna per uscire da certi condizionamenti, (come scoprire, ad esempio, che ci si può ribellare alla violenza domestica, oggi diventato incredibilmente tema dominante).

L’attentato ferì gravemente le donne nel rogo della postazione tecnica, ne uccise una, Anna, colpita da una mitragliata nel ventre mentre cercava una via di fuga giù per le scale («Nel 1985 il processo decretò che non fu reato di strage», si sottolinea nel film).

L’ indomita Nunni, figlia e moglie di militari, parla della loro militanza intesa a dibattere i problemi delle casalinghe che, ricordiamo, era parola e condizione messa in discussione dalle femministe, a cominciare dalla casa che imprigiona al salario al lavoro domestico (e nessun giornale riportò che si voleva colpire in particolare il «collettivo di casalinghe»). L’intimidazione riuscì: per paura quasi tutte le componenti del collettivo dopo l’attentato abbandonarono la radio. Dopo quell’episodio finì quel momento magico: «Poi vedi come ci siamo ridotte, dice Nunni, con il femminicidio e tutto il resto e l’8 marzo si va a vedere lo spogliarello degli uomini. Per me è diventata una data di lutto».

Pochi anni dopo la lotta sarebbe finita, il femminismo diventerà quasi una parola impronunciabile. Sarebbe bene invece ricordare in questo clima di allarme, di unità necessaria, due o tre punti fondamentali. Ad esempio rifarsi alle origini, rivedere un primo bilancio delle conquiste raggiunte e delle libertà ancora da conquistare, come si documenta tra l’8 marzo del ’72 e l’8 marzo del ’73, in «La lotta non è finita», famoso e raro (soprattutto per le nuove generazioni) documentario di Annabella Miscuglio realizzato con il collettivo femminista di cinema, ora messo a disposizione dall’Aamod sulla piattaforma https://www.openddb.it/

Vediamo qui le prime manifestazioni rimesse poi in discussione dallo stesso collettivo per l’impostazione «maschile» che assumevano, così simili alle manifestazioni del movimento studentesco, corteo di slogan in contrapposizione alle forze dell’ordine. La polizia sembra presa come di sorpresa da tutte quelle ragazze spavalde tanto che, per lasciare libero il passaggio stradale le invita con umorismo involontario ad andare «sul marciapiede», fino a perdere la pazienza per quel megafono che scandisce sempre più forte slogan come «nella famiglia l’uomo è il borghese, la donna il proletario».

Più vicino alla creatività femminile è allora il teatro di strada un anno dopo a Campo de’ Fiori dove, tra la curiosità di commercianti e passanti si mette in scena come si cade nella rete del predominio maschile, come la donna continui a subire l’oppressione all’interno della famiglia, della fabbrica e della scuola.
E si racconta la storia di quell’8 marzo 1908 quando 129 operaie morirono carbonizzate nella fabbrica Cotton di New York, la data che fu scelta a celebrare la Giornata internazionale della donna. Bruciate proprio come nell’attentato di Radio Donna, un falò, una mattanza che continua oggi come uno stillicidio, un omicidio alla volta, senza fine. «la lotta è nell’unione del movimento di liberazione» cantavano le ragazze in piazza, ombre di un’epoca svanita.