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Otto italiani su dieci sono in giallo

Otto italiani su dieci sono in gialloRistoranti a Trastevere – LaPresse

Riaperture L’indice Rt è a 0,81, solo la Sardegna resta in zona rossa. Il garante per la privacy boccia il «green pass»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 24 aprile 2021

Otto italiani su dieci saranno in zona gialla da lunedì, e godranno delle riaperture promesse dal governo. È il risultato della forte restrizione a spostamenti e contatti sociali decisa dal governo tra marzo e aprile, che ha portato l’indice Rt a scendere fino a 0,81 secondo l’ultimo monitoraggio settimanale. Più problematica la situazione del sud: resta in zona rossa solo la Sardegna, mentre in arancione ci sono Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Val D’Aosta.

Sul piano nazionale il livello del contagio è sostanzialmente stabile, come mostrano anche i quasi quindicimila nuovi casi positivi e i 342 decessi per Covid registrati ieri. Su base settimanale l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) riporta 157 casi ogni centomila abitanti, solo 3 in meno della settimana precedente.

Però, grazie alle vaccinazioni, la loro composizione sta cambiando: «L’età media dei casi positivi è calata a 43 anni, quella dei ricoverati a 67 anni», spiega Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss. Che sia merito dei vaccini lo mostra la curva di contagio disaggregata per fasce di età: tra gli over 80 (in gran parte immunizzati) i casi scendono molto più rapidamente che nelle altre fasce. Non è solo un dato statistico, perché infettarsi a un’età inferiore significa ammalarsi meno gravemente: «Quasi il 75% dei positivi è asintomatico o ha sintomi lievi» dice Brusaferro. Il ruolo delle vaccinazioni è testimoniato dai pochissimi casi registrati tra gli operatori sanitari – altra categoria che in gran parte ha ricevuto il vaccino: oggi solo l’1% dei casi positivi li riguarda, mentre prima dei vaccini la loro fetta era cinque volte più grande.

AL DI LÀ DI QUESTE categorie però l’impatto delle vaccini sul numero dei casi non è ancora evidente. «Dipende dal fatto che abbiamo vaccinato le persone a rischio di contagio, non quelle che alimentano la trasmissione» è l’opinione di Gianni Rezza, epidemiologo a capo del dipartimento di prevenzione del ministero della salute. Gli anziani sono quelli più a rischio di malattia grave. «Vaccinare i medici – aggiunge – serviva a rendere gli ospedali “covid-free”. Questo mira anche a convincere i pazienti con altre patologie a rivolgersi agli ospedali senza timore di infettarsi». Solo quando si vaccineranno i più giovani, che hanno più contatti sociali e dunque favoriscono maggiormente la trasmissione, il calo dei casi sarà visibile.

Nel comitato tecnico-scientifico però si tiene d’occhio soprattutto la situazione degli ospedali. Nell’ultima settimana il numero di posti letto occupati da pazienti Covid in terapia intensiva è sceso molto rapidamente: ora sono poco meno di tremila, cioè quattrocento in meno di sette giorni fa. In dodici regioni però si superano ancora le soglie critiche di occupazione dei posti letto (30% di pazienti Covid in terapia intensiva e 40% nei reparti ordinari) oltre la quale è necessario ridurre l’assistenza sanitaria per gli altri pazienti. Tante, ma due in meno rispetto a sette giorni fa.

A chi gli chiede se le riaperture chieste (e ottenute) da Salvini siano premature, Rezza risponde con un invito alla cittadinanza. «Nessuno può escludere un aumento dei casi» dice. «Ora occorre responsabilizzare le persone. Con le riaperture si assume sempre un rischio, ma i singoli devono saper interpretare questa riapertura, che certo non è un “liberi tutti”».

CHE IL PERCORSO disegnato dal governo possa comunque incepparsi lo dimostra l’alt al «green pass» introdotto dal governo nel “decreto riaperture” arrivato dal garante per la privacy. Secondo il parere pubblicato ieri, la norma richiede «un intervento urgente a tutela dei diritti e delle libertà delle persone». Il decreto infatti lascia spazio a «molteplici e imprevedibili utilizzi futuri» dei dati sulla salute degli italiani. Inoltre, «non viene specificato chi è il titolare del trattamento dei dati» e questo rende «difficile se non impossibile» esercitare il proprio diritto alla protezione dei dati.

Mancano infine i termini sulla durata e sull’integrità dei dati da conservare, che sono anche più di quelli necessari. Il parere si chiude con una tirata d’orecchi al governo: «Le gravi criticità rilevate si sarebbero potute risolvere preventivamente e in tempi rapidissimi – scrive il garante – se i soggetti coinvolti nella definizione del decreto legge avessero avviato la necessaria interlocuzione con l’Autorità, richiedendo il previsto parere, senza rinviare a successivi approfondimenti». Traduzione: bastava chiedere prima per evitare una figuraccia.

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