Osundu, nel mare carico di speranze e drammi
Narrativa africana Il nigeriano E. C. Osundu in «Quando il cielo vuole spuntano le stelle» (Brioschi Editore) racconta alcune delle storie che i migranti che attraversano il Mediterraneo portano con sé
Narrativa africana Il nigeriano E. C. Osundu in «Quando il cielo vuole spuntano le stelle» (Brioschi Editore) racconta alcune delle storie che i migranti che attraversano il Mediterraneo portano con sé
«Aspettavamo, in silenzio. Ascoltando attentamente si potevano sentire i fili dei nostri sogni che si srotolavano».
Se la storia dei migranti per mare che attraversano il Mediterraneo con l’illusione di vite migliori (ma che spesso in fondo a quel mare ci finiscono prima di arrivare all’altra sponda), ci pare ormai mera quotidianità, del tutto nuove dovrebbero essere la nostra sensibilità a essa e la capacità di percepire la disperazione mista a speranza che trapela dalle tante storie che ciascuno di quei singoli porta con sé.
ALCUNE DI QUESTE STORIE individuali e universali al tempo stesso ce le tratteggia il nigeriano E. C. Osundu in Quando il cielo vuole spuntano le stelle (Brioschi Editore, pp. 168, euro 16, traduzione di Gioia Guerzoni), con un tono altalenante tra crudo realismo e fiabesca sospensione. Il protagonista, seguendo l’esempio di un cugino, parte da Gulu Station (nome di fantasia di un villaggio in un non meglio identificato paese africano dove anche la ferrovia è rimasta solo un sogno), per raggiungere Roma – che deve per forza assomigliare al paradiso se ha scelto di viverci anche il Papa! – intraprendendo un viaggio rocambolesco per terra e per mare, disposto a ogni sacrificio pur di arrivare a una città dall’aura mitica di cui si parla nei libri sacri insieme a Gerusalemme e l’Abissinia.
Nonostante la povertà, il mondo che si lascia alle spalle è un universo familiare dove soffia l’harmattan e i vivi sono in armonia con gli spiriti, un mondo fatto di tradizione e saggezza popolare, dove i proverbi scandiscono le azioni dei personaggi (come il titolo stesso del romanzo, ripetuto come un mantra), e dove anche la follia ha una sua valenza (tanto che l’unico pazzo del villaggio sconsiglia a un compaesano di impazzire a sua volta perché il paese è così piccolo che non c’è posto per due matti). Eppure la mancanza di prospettive e il richiamo del benessere al di là del mare, lo spingono a compiere un viaggio verso l’ignoto sulle rotte di altri migranti altrettanto pronti a rischiare perché senza nulla da perdere.
NEL DESERTO incontrerà Abdu, in viaggio per amore, Anyi che sta andando in Europa per diventare un calciatore famoso, Ayira che lo fa per aiutare la famiglia e Zaaid, che scappa dalla guerra portandosi appresso l’atroce esperienza dei bambini soldato. Tutti sono partiti con una «borsa gigantesca piena di speranze. Attraversare le acque, le barriere, i confini, arrivare dove brillano le luci per poi tornare a casa da vincitori», tutti animati da una grande fiducia nell’umanità e un entusiasmo irrefrenabile, ma per tutti il futuro è incerto, funestato da dubbi e sogni che diventano incubi.
Tra i fuggitivi iniziano a circolare voci di sequestri, di uomini spietati con turbanti blu e scafisti che assicurano loro che i barconi scassati siano l’unico modo per essere soccorsi e non rispediti indietro, e all’orizzonte si profila un mare mai sazio, che ha fame di uomini, donne e ragazzi, che inghiotte sogni, vite e speranze.
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