Osservatorio TG, notizie dall’Italia e dal mondo
Ri-mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
Ri-mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
È stato presentato ieri, presso il Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’Università Sapienza di Roma, lo studio promosso dall’Osservatorio Tg (coordinato da Alberto e Luca Baldazzi, con Christian Ruggiero direttore scientifico) insieme alla Fondazione intitolata a Paolo Murialdi un rapporto sugli ultimi mesi di informazione radiotelevisiva. L’occhio è attento tanto alla politica italiana quanto alla vicenda della guerra in Ucraina. Lo spettro analitico tocca i tre Tg della Rai, gli omologhi di Mediaset e La7.
Emerge, proprio sul racconto del conflitto, un quadro piuttosto chiaro: nel marzo del 2022 il 70,4% dei titoli è stato dedicato alla guerra; la percentuale tocca il 72% in aprile e scende al 45,1% già a maggio. Da febbraio del 2022 ad aprile del 2023 si va in termini numerici da 560 a 124.
Nel giugno-agosto del 2022 la misura della narrazione bellica è il 29,3%. Da settembre a novembre si va al 19,8%, tra dicembre del 2022 e febbraio del 2023 siamo al 20,2%, da marzo a maggio di quest’anno si calcola il 23,2%. Sono cifre di per sé emblematiche, ad esempio sulle oscillazioni dell’interesse verso una tragedia orrenda. Ben diverso, infatti, è il racconto sulle guerre rimosse o dimenticate: dal Sudan, allo Yemen, alla Palestina. Per non dire dell’immensa Africa. L’Ucraina è vicina e ci interpella immediatamente sulla storia europea e la presunzione di insegnare al mondo cos’è la democrazia.
Tuttavia, le crude percentuali non ci spiegano davvero il clima che ha segnato l’avventura mediale in questi mesi.
Il saggio curato dall’appassionato docente Christian Ruggiero spiega, attraverso un approfondimento argomentato e qualitativo, che tempo che fa nei flussi delle notizie.
Si coglie come in tutta la prima fase dell’invasione russa e delle lotte sul terreno si aprissero i telegiornali (in particolare Tg1 e Tg4) con lunghe sequenze di immagini di morte senza commento: scarsità di notizie e costruzione di un modello fondato sul dolore e sugli approcci più elementari. Ci mancherebbe, altro che dolore promanava da quelle sequenze. Ma un’informazione adeguata – aggiungeremmo- lasciava il passo ad una sorta di educazione sentimentale finalizzata a definire un rudimentale schieramento: buoni e cattivi.
Non per caso, parallelamente iniziava la guerriglia semiologica centrata sull’introduzione della categoria metapolitica dei putiniani, una sorta di censura preventiva verso chiunque non recitasse la parte prestabilita negli uffici della Nato. Ricordiamo le polemiche artefatte, il ritiro da parte della Rai dei propri corrispondenti da Mosca, le pagine con le foto dei presunti rei di squilibrio e di simpatie improprie. Non per caso, persino Papa Francesco, indiziato forse per eccessi pacifisti, non ha avuto l’onore in molti casi di stare nelle aperture.
Insomma, si potrebbe aggiungere, si è assistito al crescere di un’ideologia di guerra, con l’introduzione di termini prima tabù come il ricorso alle armi atomiche.
Lo studio (che nella parte scritta tratta pure il panorama delle principali testate della carta stampata) ci offre un interessante compendio, con i dati del cosiddetto Media Hype (il martellamento sul nostro immaginario). Il raffronto viene svolto tra la copertura sul Covid tra marzo e maggio del 2020, e quella sulla guerra nel medesimo periodo del 2022: 60,8% contro 53,9%. Di poco, ma la pandemia è prevalsa.
Lo studio ci regala, poi, tavole riassuntive delle citazioni dei leader di partito. Che botta.
Si appalesa il grado di occupazione della destra, tale da rendere incomprensibile -se non pensando alla mera gestione del potere- l’annunciata invasione della Rai. Giorgia Meloni ha il 55% delle citazioni complessive, Salvini l’8%, Schlein il 15% e Conte il 7%. La Presidente del consiglio tocca l’impressionante vetta del 78% nel Tg1, dell’81% nel Tg2, del 56% nel Tg3, del 32% nel Tg4, del 61% nel Tg5 e su Studio Aperto.
Non tutto è uguale, come hanno spiegato nel convegno Lucia Goracci della Rai e il freelance Alessandro Ricci: tanti giornalisti hanno la schiena dritta.
La strisciata di colore, comunque, tende al nero.
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