Oscure inquietudini di Medée, passioni per una tragedia cosmica
A teatro La Scala mette in scena la versione «originale» dell’opera del compositore italiano Luigi Cherubini
A teatro La Scala mette in scena la versione «originale» dell’opera del compositore italiano Luigi Cherubini
n libretto francese, Medée di François Benoît Hoffmann, messo in musica nel 1797 da un compositore italiano, Luigi Cherubini, per un teatro parigino, il Feydeau, guardando come modello all’opera seria tedesca di lingua italiana, in particolare a Christoph Willibald Gluck e al Wolfgang Amadeus Mozart di Idomeneo; una storia antica, immortalata da Euripide, riletta in epoca moderna da Pierre Corneille e adattata al clima della Francia post-rivoluzionaria; una partitura neoclassica con aperture verso la temperie del nascente romanticismo; una tragédie (così recita il frontespizio del libretto originale) in forma di opéra comique, dunque un misto di parlato e cantato riservato per buona parte del Settecento a opere leggere. Insomma un’opera complessa per molte ragioni e dalla storia scenica sghemba se, a partire dal 1854, circola in una versione in cui i recitativi secchi originali sono rimpiazzati dai recitativi accompagnati musicati da Franz Lachner. In questa versione l’opera, cambiata in Medea dallo scarsissimo versificatore e traduttore Carlo Zangarini, con tagli corposi operati sulla partitura di Cherubini, circola a livello internazionale e arriva alla prima italiana al Teatro alla Scala di Milano nel 1909; in questa stessa versione viene ripresa nello stesso teatro da Leonard Bernstein nel 1953 e da Thomas Schippers nel 1961, in entrambi i casi con protagonista Maria Callas, che nel 1969 veste i panni di Medea anche nel film di Pier Paolo Pasolini che ne porta il nome.
Regia di Damiano Michieletto, orchestra diretta da Michele Gamba
POI IL SILENZIO, per sessantatré anni. In questi giorni finalmente la Scala mette in scena la versione «originale» di Medée. Le virgolette sono d’obbligo se, a differenza di opere intoccabili come Die Zauberflöte, Fidelio o Carmen, l’originalità garantita all’opera di Cherubini riguarda solo la lingua e l’esecuzione integrale dei numeri musicali, mentre i recitativi secchi vengo eliminati e sostituiti da un nuovo testo scritto da Mattia Palma su richiesta del regista Damiano Michieletto, che tra il terrore di Dircé, l’odio di Jason e Créon e la pietà di Néris, tenta di offrire un’ulteriore «prospettiva sulla protagonista», quella dei suoi figli, «che fino all’ultimo si fidano ciecamente della madre, pur intuendo forse la miseria famigliare in cui sono precipitati».
LO SPETTACOLO concepito da Michieletto, con le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti e le luci di Alessandro Carletti, mette a partito questa prospettiva attraverso delle domande sostanziali: quale visione e consapevolezza possono avere i figli della madre? come vivono la relazione con il padre che ora si risposa? «In Euripide ci sono molti momenti in cui i bambini sono presenti in scena ma non parlano. Al tempo stesso hanno rapporti con tutti i personaggi, che spesso si rivolgono a loro. Tutto ruota attorno a loro». Da qui la decisione di «raccontare i loro pensieri. Al posto dei dialoghi recitati tipici della forma opéra-comique di Cherubini ho introdotto le voci e i pensieri dei bambini, dopo avere «creato un linguaggio, immaginato il mondo interno dei figli di Medea», cercando di farne «dei personaggi e non delle appendici liriche».
Cosa pensano della madre? Una donna sfruttata e poi buttata via? Delle nuove nozze? Nella vicenda di Medea tutto ruota intorno ai suoi figli Damiano Michieletto
LA DIREZIONE di Michele Gamba mira ad «aderire al dettato di una partitura già di per sé iperbolica nella scrittura, resistendo alle sirene dell’ipertrofismo retorico. Se la vocalità di Cherubini trae origine dal gusto del declamato di Gluck, l’audacia espressiva di Médée viene assorbita in una scrittura strettamente interrelata alla trama orchestrale», in una «compenetrazione drammatica che rigetta l’effetto roboante fine a se stesso, in favore di un’efficacia teatrale ineludibile». L’obiettivo è centrato se il suono che l’orchestra ci regala è di una compostezza che si sforza di non dissimulare le inquietudini che la attraversano e soprattutto di liberare le passioni senza scampo messe in scena dalla gabbia delle «amorose smanie» della tradizione settecentesca. Ottimo il cast guidato da Marina Rebeka nei panni di Medea, che vede Stanislas de Barbeyrac, al debutto scaligero, come Jason e Nahuel di Pierro come Créon. Menzione speciale per le delicatissime Néris di Ambroisine Bré e Dircé di Martina Russomanno. Repliche fino al 28 gennaio.
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