Orizzonti perduti
Cannes 68 Alla Semaine de la Critique l'esordio di Jonas Carpignano con «Mediterraneo», quadro impietoso di un mondo globalizzato nel segno delo sfruttamento che non lascia speranze
Cannes 68 Alla Semaine de la Critique l'esordio di Jonas Carpignano con «Mediterraneo», quadro impietoso di un mondo globalizzato nel segno delo sfruttamento che non lascia speranze
Cominciamo dalla storia perché di Mediterranea è la prima scommessa. Per il suo film d’ esordio Jonas Carpignano torna a Rosarno, dove aveva girato A Chjana il cortomettaggio con cui nel 2011 ha vinto il Controcampo veneziano, e prima ancora in qualche altro punto di un mediterraneo spazio politico e culturale più che geografico dove comincia il suo racconto. Algeria, Libia, e Burkina, le strade percorse dai migranti sul filo di un orizzonte che immagina salvezza e benessere, il sogno di vivere meglio. Non fuggono da qualche guerra i due fratelli burkinabé protagonisti di Mediterranea – Alassane Sy e Koudous Seihone bravissimi a trovare il fraseggio giusto per i loro personaggi – uno ha una figlia, e la sorella da mantenere, l’altro guarda su facebook la moto e le donne dell’amico scappato in Italia e vorrebbe essere come lui. Il viaggio è il deserto, i ladroni, le botte, i soldi, sempre la stessa ossessione, gli scafisti che li lasciano in mezzo al mare.
E poi i centri d’accoglienza, e l’Italia di un sud in cui non esistono politici e istituzioni e dove ognuno cerca di conquistarsi il proprio spazio come può. Per i migranti significa lavoro nero, piccoli traffici, la favelas lungo la strada al freddo e nei cartoni tra la violenza e l’opera pia «Mamma Africa» la signora anziana che li nutre, e canta a cena «Calabresella», il padrone «buono» che lo sappiamo non esiste, e offre lasagne e vino, e ha una figlietta perfida, ma quando si tratta di fare un contratto allunga cinque euro e sorride.
Ci sono poi i ragazzi del paese che quei «negri» li odiano, e intanto i ragazzini della camorra fanno affaroni grazie a loro. Di fronte all’ «emergenza barconi», a cui ora la Ue risponde con le quote di migranti per ciascuno sui Paese (assai osteggiate compresa la Francia di Hollande) fare in film su storie che la retorica (sempre strumentale) della vittima rischia di confondere in una assuefazione quotidiana è appunto, una scommessa.
Carpignano che al film ha lavorato diversi anni mettendo insieme un budget internazionale tra Sundance, Festival di San Francisco, Doha, sposta il punto di vista assumendo pienamente la scelta della dimensione narrativa. C’è la realtà del nostro tempo nelle sue immagini (illuminate dalla luce indipendente di Wyatt Garfield, direttore della fotografia di Il paese delle creature selvagge) resa attraverso persone/personaggi e non figure lontane tutte uguali, remote, comunque «fuori dal quadro». E questo però senza sentimentalismi, non sappiamo nulla delle loro vite prima o quasi, di cosa si sono lasciati alle spalle, esiste il presente qui e adesso, in un occidente (mediterraneo) che appare molto simile, almeno nei loro occhi.
I soldi sono pochi, eppure a casa servono, e l’illusione di un benessere finisce in quell’accampamento di disperazione.
Quello che Mediterranea – in gara alla Semaine de la critique e per la Camera d’or – racconta è dunque più questo lato che l’altro, e insieme la «frontiera comune» di un Mediterraneo globalizzato nel segno dello sfruttamento, delle distanze accorciate nei miti, Rihanna in cuffia per le ragazzine di una e dell’altra riva, disperazione fisica contro universo virtuale che ha polverizzato da tempo ormai ogni frontiera.
Nell’esperienza dei due fratelli uno col suo tentativo testardo di ottenere il permesso di soggiorno dicendo sempre di sì, l’altro subito casseur avendo capito la situazione, viene messa a fuoco in modo lucido l’Italia svuotata del sud di case di cemento lasciate a metà, abusivismi, occhi sempre chiusi, corruzione mascherata da miseria.
Non si tratta semplicemente di razzismo, e di «vittime», di buoni e di cattivi, un dualismo tranquillizzante in un cinema che serve a mantenere l’esistente. Quello di Carpignano invece interroga, scava in profondità, è un cinema politico di ambiguità e contraddizione, sfumature cromatiche inquietanti contro un bicolore pacificato attraverso cui rendere il sentimento del contemporaneo.
In gioco lì, sul terreno esplosivo di Rosarno, e nell’Europa attuale, è soprattutto una questione di diritto, e di consapevolezza, di spaccare tutto perché non si può sempre piegare la testa al ricatto del lavoro, nel caso dei protagonisti aggravato da quello dei documenti, come ormai accade nelle fabbriche e come la politica vuole che sia per conformarsi a normative e banche centrali e Fondo monetario.
Quel paese, il primo almeno in Italia dove i migranti si sono rivoltati a violenze e sopraffazioni appare come un laboratorio avanzato dello stato del nostro Paese, così come di un’Europa lontana.
Le immagini sono sintonizzate sulla cifra del reale; essenziali, nette, composte di dettagli, frammenti, scorci di un paesaggio chiuso, in cui non sembra esserci orizzonte. Una concentrazione di ipocrisia e meschinità (la scena della cena nella casa padronale è molto forte), indifferenza e quotidiano cinismo. Mediterranea è il nostro mondo, ma Carpignano non ci fabbrica risposte,nel prisma del suo film possiamo scegliere come guardarlo.
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