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Oriente estremo, caute le scelte e qualche sorpresa

Oriente estremo, caute le scelte e qualche sorpresa"The Handmaid" di Park Chan-wook

Cannes 69 Il festival riflette la vitalità del cinema coreano e la situazione stagnante di quello giapponese

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 14 maggio 2016

Non un’edizione con grandissima o innovativa partecipazione di film dall’Asia estremo orientale quella di quest’anno a Cannes, dove ci saranno comunque dei lungometraggi che probabilmente sapranno rappresentare al meglio, se mai ancora le aree geografiche e le nazioni hanno un senso, quello che questa parte del continente offre dal punto di vista cinematografico. Cannes del resto non ha mai osato più di troppo nelle sue scelte asiatiche, negli ultimi decenni un’eccezione di peso è forse stata solo la partecipazione di Innocence (Ghost in the Shell – L’attacco dei cyborg) nel 2004, lungometraggio animato diretto da Mamoru Oshii e presentato in riviera.

La selezione estremo orientale di quest’anno alla Croisette riflette in fin dei conti abbastanza puntualmente la condizione del cinema del luogo, la vitalità oramai confermata e solidificata anche a livello produttivo del cinema sud coreano continua con la presenza di Park Chan-wook che in riviera porterà il suo The Handmaiden, storia ispirata ad un romanzo della britannica Sarah Waters, nel film una giovane borseggiatrice coreana si ritrova implicata un un complesso piano che la vede diventare servitrice di una ricca famiglia giapponese. La seconda pellicola sudcoreana in programma è The Whaling di Na Hong-jin che sarà presentata fuori concorso, il regista, che già aveva impressionato con The Chaser e The Yellow Sea, porta a Cannes un thriller dove pratiche di sciamanesimo e paranoia si intrecciano ad una serie di omicidi che hano sconvolto una piccola cittadina, dopo l’arrivo di un misterioso uomo. Sempre orbitante attorno lo stesso genere sembra essere Train to Busan di Yeon Sang-Ho, l’ultimo lavoro sudcoreano in programma, che gareggerà nella sezione Midnight Screening, una storia di un’epidemia scatenata da un virus mortale sul tragitto in treno dalla capitale Seul a Busan.

Lo stato non proprio eccelso in cui versa il cinema giapponese è, purtroppo, un’altra conferma che si può evincere da questa edizione di Cannes, anche se naturalmente la Croisette non è una cartina tornasole assoluta rispetto al cinema dell’arcipelago, anzi. Una conferma non perchè i lavori presentati in riviera non siano potenzialmente buoni, ma piuttosto perchè a girare nel circuito festivaliero internazionale sono sempre gli stessi autori con qualche eccezione naturalmente, quest’anno non c’è un’affezionata di Cannes come Naomi Kawase ma non mancherà Hirokazu Kore’eda che avrà la sua ultima pellicola, After the Storm, presente in Un Certain Regard. Si tratta, come il regista giapponese ci ha spesso abituato, di una storia che si focalizza su temi quali la famiglia, la sua distruzione e come questi si intreccino con le vicende personali dei protagonisti, in questo caso uno scrittore caduto in disgrazia, interpretato da Hiroshi Abe, che con Kore’eda aveva già lavorato nel riuscito ed oziano Still Walking. Si diceva di come la situazione stagnante del cinema nipponico, che riflette la condizione del paese ma deriva in parte anche dal sistema produttivo, dalla mancanza di storie originali e dall’incapacità degli autori indipendenti di trovare una propria estetica nella contemporaneità digitale, offra anche delle felici eccezioni. Uno dei nomi più interessanti usciti dall’arcipelago negli anni recenti è quello di Koji Fukada, autore nel 2013 del pregevole Au revoir l’été, per il regista la presenza a Cannes era quasi dovuta o quanto meno non inaspettata, infatti molto del suo cinema trova ispirazione in quello francese, soprattutto ed esplicitamente nelle opere di Rohmer ed ha un tocco “adatto” e che piace ai festival europei. In Francia sarà presente con Harmonium, una storia ambientata in un piccolo villaggio rurale giapponese dove vive il proprietario di un piccolo negozio, interpretato da Tadanobu Asano, attore che per fortuna negli ultimi anni, dopo la parentesi non troppo felice a Hollywood, sembra aver ritrovato quel carisma che aveva agli inizi della sua carriera.

Un’ altra conferma, sia per il regista che per la filmografia del suo paese, sempre molto viva, è la presenza in competizione del film del filippino Brillante Mendoza, già presente lo scorso anno in riviera con Trap (Un Certain Regard) e che nel 2009 con Kinatay aveva vinto il premio della giuria. Ma’ Rosa, questo il titolo del lavoro portato a Cannes quest’anno, esplorerà ancora una volta i bassifondi della società filippina attraverso la storia di Rosa una negoziante che per sbarcare il lunario è costretta a vendere droga. Molto interessante sarà vedere nella sezione Un Certain Regard, Apprentice, lungometraggo del singaporiano Boo Junfeng che fu il primo regista invitato a Cannes nel 2010 col suo Sandcastle, mentre tutto da decifrare Exile, il film semi-autobiografico di Rithy Panh. Il regista cambogiano autore di capolavori dell’arte documentaria quali S-21: The Khmer Rouge Killing Machine e The Missing Picture, con Exile, presentato come proiezione speciale, sembra esplorare ancora una volta i drammi provocati dal macinare violento e sanguinoso della storia, ma questa volta da un punto di vista personale e filtrato da un tocco poetico. Chiudiamo con The Red Turtle un lungometraggio animato diretto da Michael Dudok de Wit ma coprodotto dallo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki, in pratica il primo lavoro con il marchio Ghibli dopo lo stato di sospensione/morte in cui è volutamente caduto dopo l’addio di Miyazaki e l’ultimo lavoro di Isao Takahata. Proprio il regista di Una tomba per le lucciole figura come direttore artistico di questa animazione che vedremo a Cannes nella sezione Midnight Screening, un film che racconta le vicende di un uomo solo su un’isola deserta e della sua amicizia con una tartaruga gigante.

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