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Orient Express, memorabilia allegro-legato

Orient Express, memorabilia allegro-legatoFotografia pubblicitaria dell’Orient Express per la promozione dei nuovi vagoni letto P (Pillepich), 1959, courtesy Accademia di Francia a Roma - Villa Medici

A Roma, Villa Medici La ricostruzione di «un mito moderno», dalle colorate etichette per i bagagli alle foto d’epoca, dalle attrattive letterarie alle ’fantasie’ di Sarah Moon e Mathias Enard

Pubblicato più di un anno faEdizione del 16 aprile 2023

«Molti e molti anni fa, quando andavo in Riviera o a Parigi, rimanevo affascinata alla vista dell’Orient-Express a Calais e desideravo ardentemente poterci salire. Adesso, è diventato un vecchio amico di famiglia, ma l’emozione non è mai del tutto scomparsa», scrive Agatha Christie Mallowan in Viaggiare è il mio peccato, specificando qualche riga più in là che si tratta del suo treno preferito. «Mi piace il suo tempo, attacca con un Allegro con furore ondeggiante e sferragliante, capace di sbatacchiarti da una parte all’altra nella sua folle furia di lasciare Calais e l’Occidente, per poi gradualmente diminuire in un rallentando, mentre marcia verso Oriente, fino a trasformarsi risolutamente in un legato».
La «signora del giallo» era così affascinata da questo mezzo di trasporto, il primo di una serie di treni di lusso internazionali di proprietà della Compagnie internationale des wagons-lits (CIWL) – ideato dall’ingegnere belga Georges Nagelmackers (appare con cilindro e bastone da passeggio nella foto di studio scattata da Paul Nadar nel 1898) –, da ambientarci interamente uno dei suoi gialli più popolari, Assassinio sull’Orient Express (1934). Dal libro sono state realizzate due trasposizioni cinematografiche: nel 1974 con la regia di Sidney Lumet e nel 2017 di Kenneth Branagh.

A questo treno leggendario, operativo dal 1883 al 1977, perfetta incarnazione dell’idea di un Oriente misterioso, sempre in bilico tra realtà e fantasia, lontano ma non irraggiungibile, è dedicata la mostra ORIENT-EXPRESS & Cie. Itinerario di un mito moderno, a cura di Eva Gravayat e Arthur Mettetal, coprodotta dal Fonds de dotation Orient-Express e dal festival Rencontres d’Arles, all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici fino al 21 maggio. Nel percorso espositivo s’intercettano, in parte sovrapposte, narrazioni diverse, attraverso gli oltre duecento pezzi che includono manifesti pubblicitari, coloratissime etichette per i bagagli, disegni di elementi tecnici e decorazioni (dai ganci e molle ai materassi imbottiti), fino agli orari e ai menù con la carta dei vini. Quanto alla documentazione del dietro le quinte, le fotografie inquadrano diverse fasi: la costruzione delle vetture negli stabilimenti francesi di Aytré e austriaci; i cuochi nelle cucine centralizzate della CIWL a Saint-Ouen, impegnati nella preparazione e nel confezionamento dei cibi, la lavanderia, l’ebanisteria, i piatti e le stoviglie del vagone-ristorante allineate nel foglio di provini a contatto.

Non mancano le foto pubblicitarie che promuovono, all’insegna del lusso, la modernità di strutture e ambienti. Senza tralasciare i momenti critici, di cui è testimone il fotografo statunitense Jack Birns che, nel 1950, viaggia per «Life» sul Simplon-Orient-Express da Londra a Istanbul. Dalla selezione delle trenta immagini pubblicate dalla rivista (Birns ne fece quasi duemila) trapela una certa «sciatteria» della compagnia causata dalla crisi nel periodo della guerra fredda.

In tempi recenti Sarah Moon ha viaggiato nella tratta Parigi-Vienna-Budapest per realizzare, apposta per la mostra, Un hiver (2023). Un’opera suggestiva costituita da un film e da un diario, in cui il flusso temporale è accompagnato dalle note di Vivaldi, proiezione delle atmosfere oniriche tipiche della sua poetica. Di altre voci mescolate al brusio, al suono di ferraglia e al fischio della locomotiva è traccia nel docu-dramma in quattro episodi L’Orient-Express un rêve d’Europe (2023) di Mathias Enard, vincitore del premio Goncourt nel 2015 con il romanzo Boussole. Lo scrittore francese, che nel 2005-’06 è stato borsista a Villa Medici, continua a esplorare i punti d’incontro tra Oriente e Occidente proponendo una narrazione inedita ascoltabile passeggiando nello spazio espositivo di Villa Medici, oppure sull’app di France Culture.

Accanto a tante voci e volti anonimi, su quest’icona della strada ferrata hanno viaggiato anche numerose celebrità. Come dimenticare la bella Mata Hari? Quanto alle teste coronate salite in carrozza ricordiamo Leopoldo II del Belgio, Gustavo I di Svezia, Ferdinando di Bulgaria e la regina di bellezza Sophia Loren che nella foto di Jack Garofalo, in una scena del film Pane, amore e fantasia (1955) di Dino Risi, appare assopita sul sedile di velluto della carrozza dell’Étoile du Nord nella tratta Bruxelles-Parigi. Dall’archivio della Fondazione FS Italiane proviene, poi, il nucleo di fotografie accompagnate dal filmato che documenta alcune edizioni di Canteuropa, un progetto di «tour su rotaia» nato nel ’65 che portò la musica italiana (melodica e pop) in tournée per il Continente. In una foto del ’72 vediamo Romina Power nel vagone adibito a salon de coiffure e in un’altra dello stesso anno Claudio Villa e Mino Reitano intenti a firmare autografi dal finestrino. In altre si riconoscono Domenico Modugno, Rita Pavone, Milva, Bobby Solo, Gianni Morandi.

L’atmosfera sembra piuttosto rilassata, diversamente da quella tesa che si respirava quando, molti anni prima, il treno – torniamo al Simplon-Orient-Express – fu bloccato per nove giorni a ottanta chilometri da Costantinopoli dall’eccezionale tempesta di neve e i passeggeri rimasero in balia della meteorologia, inermi di fronte al fato. La notizia del clamoroso accadimento finì anche sulla prima pagina de «L’Illustration», il 23 febbraio 1929, con relative fotografie. Fu proprio questa vicenda la fonte d’ispirazione per Agatha Christie nella stesura del giallo con il detective Hercule Poirot a bordo del celebre treno.

Due anni prima della pubblicazione del giallo era uscito Il treno d’Istanbul di Graham Greene, definito dall’autore un «divertimento». Anche nelle pagine di questo «romanzo psicologico» si parla di bufera di neve e folate di vento freddo. A ogni fermata, da Ostenda a Istanbul, la trama si arricchisce di un nuovo personaggio e con lui di una diversa sensazione, di un sogno che si avvera per poi perdersi nell’oscurità. Negli scompartimenti dove gli uomini girano senza panciotto e le donne si abbandonano in «strane forme sui sedili, grossi seni ed esili cosce, esili seni e grosse cosce», nei vagoni-letto e nel vagone-ristorante tra bicchieri colorati di Borgogna e Chambertin, tazzine di caffè fumante e piatti odorosi di «vitello au Talleyrand», pollo ai ferri e pesce, si consumano drammi e amori. I pensieri scorrono al ritmo del treno che avanza: non c’è personaggio che non sia anestetizzato dalla solitudine, ossessionato dal passato che affiora, oppresso dal presente ignoto. Nel gioco della vita a vincere è il più forte, il senza cuore, il reprobo. Intanto l’Orient-Express procede sbuffando, arranca per poi accelerare.

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