Orfini l’artificiere e l’ordigno che Renzi teme
Democrack Il commissario Orfini per prima cosa assicura sostegno a Marino. Ma il suo compito è delicato. Perché Palazzo Chigi e il Nazareno aspettano con il fiato sospeso che l'inchiesta vada avanti
Democrack Il commissario Orfini per prima cosa assicura sostegno a Marino. Ma il suo compito è delicato. Perché Palazzo Chigi e il Nazareno aspettano con il fiato sospeso che l'inchiesta vada avanti
Un lungo colloquio con il sindaco Marino, quasi due ore, poi un manifesto di collaborazione: «È stato un incontro utile, abbiamo discusso a lungo. Stiamo lavorando nella stessa direzione, che è quella di proteggere la città dai poteri criminali e ricostruire un partito che sia all’altezza di quello che un partito come il nostro deve essere, un argine impermeabile ai poteri criminali». Nel suo primo giorno da commissario del Pd romano Matteo Orfini azzera subito il primo problema: quello fra il partito e il suo sindaco «marziano».
Questione chiusa: il ciclone abbattutosi sul Pd consiglia vivamente alle riottose correnti dem di stringersi intorno al primo cittadino, quello che dimentica il permesso di circolazione della Panda ma ha ancora, lui sì, l’immagine di uomo onesto. Oggi Orfini incontrerà il gruppo capitolino per seppellire definitivamente la querelle. Ci sarà un rimpasto (l’assessore Ozzimo ha lasciato in seguito all’inchiesta «Mondo di mezzo», Luca Pancalli si era dimesso dieci giorni fa in seguito ad una delle tante fibrillazioni della giunta). Ma il rimpasto, spiega Orfini, «è una vicenda che riguarda il sindaco di Roma e non il Pd. Credo che anche in passato ci sia stata troppa sovrapposizione da questo punto di vista. Il sindaco farà le sue scelte e avrà il pieno sostegno del Pd». Andrà così, almeno per ora.
Poi ci sarà da ‘fluidificare’ il rapporto fra commissario e commissariati. Tema delicato, da cui dipende il successo della «rifondazione» del pd romano. Per prima cosa Orfini ha trasformato l’iniziativa già convocata dal segretario uscente Cosentino ai Frentani, sede storica della Cgil, in un’assemblea il 10 dicembre al Laurentino 38, una delle periferie più degradate della città, «riportando il Pd dove deve essere, ovvero non nel ‘mondo di mezzo’ ma in quello reale delle periferie e lì discuteremo con i nostri circoli, iscritti, elettori di quello che è successo e di come ripartire». Messaggio chiaro. Cosentino capisce e con una lettera agli iscritti annuncia la pensione e i giardinetti: «Non ho niente a che fare con la corruzione e i reati di cui si parla. Chi mi vuol bene, lo sa già. Agli altri dico: ‘state tranquilli’. Sono una persona onesta, e lascio la politica povero come ci sono entrato», «in questa situazione, non avrei avuto la forza, da solo, di restituire fiducia al partito». «Da solo» sarebbe stato Cosentino. E invece «da solo» non è Orfini, che gode della fiducia piena di Renzi.
Anche perché il segretario nazionale sa che il presidente del partito è l’unico che può maneggiare con cura l’ordigno innescato a Roma. Se l’ordigno esplodesse, l’onda d’urto arriverebbe a Palazzo Chigi e al Nazareno. Orfini, a differenza dei tanti commissari ‘stranieri’, è romano, e anche parecchio. Da parlamentare non ha mai smesso di occuparsi della sua città. Schierando per esempio la sua area alle primarie a fianco di Davide Sassoli, e in quelle per la segreteria di Tommaso Giuntella. In federazione non sono in pochi a chiedersi «se farà il super partes o il capocorrente». La verità è che dovrà cercare di fare molto di più: una cosa molto simile all’artificiere.
L’inchiesta, che la stampa e i media tendono a raccontare come prodotto grandioso sì, ma del marciume locale, ha una spiccata tendenza a diventare caso nazionale. Sia sul fronte del governo che su quello del partito. Sul governo: la foto che ritrae il ministro Poletti alla cena con Alemanno, Panzironi, Ozzimo, Salvatore Buzzi e un esponente del clan Casamonica («mi fa star male», ha detto ieri il ministro) potrebbe preludere ad un affondo degli inquirenti sul mondo delle cooperative, che sono la ragione sociale per la quale Poletti è diventato ministro. E ancora: Luca Odevaine, l’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni che per gli inquirenti era al libro paga dell’organizzazione mafiosa, ora era al Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell’Interno di Angelino Alfano: avrà applicato il suo stile disinvolto anche ai nuovi incarichi?
Sul fronte del partito, gli esponenti fin qui toccati dalle inchieste sono personaggi di lungo corso. Che però all’ultima curva sono saltati sul carro renzian, portando in dote interi pacchetti di preferenze. Il consigliere regionale Eugenio Patané è vicino al ministro Gentiloni; Mirko Coratti, ex forzista, è vicino all’ex segretario regionale Gasbarra; Daniele Ozzimo è vicino a Umberto Marroni, che è un dalemiano storico ma fondatore dell’area ‘Noidem’ (con Gasbarra e Lorenza Bonaccorsi), che riunisce renziani della capitale, di nuovo e vecchio conio. Infine l’ex consigliere regionale Marco Di Stefano, per ora impegnato a fare scena muta davanti ai magistrati per l’accusa di corruzione in tutt’altra indagine: è stato coordinatore di un tavolo della Leopolda.
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