Economia

Saccomanni: «Ore contate per gli evasori»

Saccomanni: «Ore contate per gli evasori»Il ministro Fabrizio Saccomanni a colloquio con la ministra svizzera delle Finanze Widner-Schlumpf – Reuters

Fisco La trattativa per l’emersione dei capitali detenuti nelle banche elvetiche è ripresa ieri con l’incontro tra il ministro dell’Economia Saccomanni e la consigliera federale Widner-Schlumpf. Il governo Letta annuncia: «L’accordo fiscale Italia-Svizzera è possibile entro maggio».

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 31 gennaio 2014

«I giorni per gli evasori che non mettono in ordine i conti con il proprio Paese sono numerati». La trattativa tra l’Italia e la Svizzera per un accordo fiscale e, di contro, per l’uscita della Confederazione dalla black list italiana non si è affatto arenata, anche se aveva subito un impasse dal 14 gennaio scorso. Va avanti e anzi, ha spiegato ieri il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, dopo l’incontro a Berna con la consigliera federale svizzera Eveline Widner-Schlumpf, potrebbe concludersi addirittura entro maggio prossimo, quando nel Paese elvetico si recherà il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.

Non si tratta di un condono o di un’amnistia, ha assicurato il titolare del Mef, e di anonimato per i capitalisti “infedeli” ormai non si parla più da quanto è stato affossato il vecchio schema Rubik, l’accordo andato in porto soltanto con l’Austria e con il Regno unito. «Abbiamo concordato pienamente che la soluzione è lo scambio automatico di informazioni», ha assicurato Saccomanni. E, per quanto riguarda la regolarizzazione dell’evasione pregressa, sul piatto della bilancia pesa inevitabilmente la norma sulla cosiddetta “voluntary disclosure” contenuta nel decreto legge varato dal consiglio dei ministri il 24 gennaio scorso. Il provvedimento governativo, che dovrà essere convertito in legge entro due mesi, prevede «per la semplice regolarizzazione la sanzione ridotta di un quarto» o «fino alla metà se il contribuente trasferisce i capitali in Italia o in un altro Paese dell’Ue o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni, oppure se si rilascia all’intermediario estero l’autorizzazione a trasmettere le informazioni al fisco italiano». La regolarizzazione dei capitali depositati nelle banche svizzere, ha perciò puntualizzato Saccomanni durante la conferenza stampa congiunta con la sua omologa svizzera, «comporterà l’integrale pagamento delle tasse dovute», senza «forme di riduzione delle sanzioni diverse da quelle previste dalla nostra legge».

Nell’emersione però non tutti i reati fiscali verrebbero sanati, secondo lo schema di accordo bilaterale tra Roma e Berna di cui gli “sherpa” dei due Paesi discutono da tempo, riferiscono fonti svizzere. Esattamente come avviene nella “voluntary disclosure” che non salva dall’incriminazione chi si è macchiato di frode fiscale, riducendo però la pena prevista dal codice penale fino alla metà per i comportamenti fraudolenti (fatture o dichiarazioni false o altri artifici), mentre condona i reati di infedele o mancata dichiarazione.

Eppure, malgrado il decreto governativo sulla regolarizzazione spontanea dei capitali evasi, l’accordo fiscale tra Italia e Svizzera è ancora necessario a entrambi i Paesi. Da una parte, Berna sa bene che nel giro di un paio d’anni dovrà adeguarsi ai nuovi standard Ocse che, prendendo spunto dal Facta degli Stati uniti, fanno carta straccia del segreto bancario. E, allo stesso tempo, ha urgente bisogno di uscire dalle black list dei paradisi fiscali in cui l’hanno relegata molti Paesi, tra cui l’Italia. Dal canto suo, il governo italiano invece ha bisogno di recuperare dal contrasto all’evasione fiscale credibilità e fondi (una parte dei quali sono stati peraltro già promessi per la ricostruzione dell’Aquila). E non basta la regolarizzazione volontaria dei capitali detenuti all’estero fino al 31 dicembre 2013, perché il tempo limite per l’emersione scade a settembre 2016 e perché tra l’altro il comportamento dei correntisti costituisce una variabile quanto mai imprevedibile.

Nella trattativa bilaterale, inoltre, la Confederazione elvetica ha posto – su richiesta esplicita soprattutto del Canton Ticino – anche la questione dei lavoratori frontalieri e dell’accordo sulla doppia imposizione, fermo al 1974 e da aggiornare tenendo conto di come sono mutati il tessuto socio-economico e il mercato del lavoro nella fascia di confine tra i due Paesi.

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