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«Ora la nostra sfida è uscire dalla nicchia»

«Ora la nostra sfida è uscire dalla nicchia»

Il fatto della settimana Niamh Holland Essoh, coordinatrice della comunicazione di Ifoam, commenta il documento Biologico 3.0, che affronta la nuova fase che attende il movimento

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 27 dicembre 2018

L’agricoltura biologica deve cambiare «cultura e spirito», «attitudine e pensiero». Un forte richiamo verso una nuova fase per il movimento viene da Ifoam (International Federation of Organic Agricultural Movements), la federazione che coordina centinaia di reti, movimenti e associazioni di chi pratica l’agricoltura biologica nel mondo. Nel documento «Biologico 3.0» elaborato nel corso di diverse consultazioni e conferenze emerge la necessità di un cambio di passo. Se tanti obiettivi sono stati centrati in ormai 100 anni di pratica, a livello globale i terreni biologici certificati sono ancora soltanto l’1% della superficie agricola.

Ne abbiamo parlato con Niamh Holland Essoh, coordinatrice della comunicazione di Ifoam.

La parola d’ordine «Biologico 3.0» contiene un richiamo a un cambio radicale: qualcosa non ha funzionato nelle fasi precedenti?

La prima fase fu quella dei pionieri del movimento, che, già all’inizio del XX secolo, intravidero i problemi a cui sarebbe andata incontro l’agricoltura. Poi c’è stata la fase del Biologico 2.0, quando negli anni Settanta e Ottanta le idee dei pionieri sono state codificate in standard e nei regolamenti legislativi obbligatori per la certificazione, un passaggio necessario per rendere i prodotti biologici riconoscibili sul mercato e per assicurare che fossero prodotti con pratiche sostenibili. Da allora, il settore biologico ha visto la crescita enorme degli ultimi decenni, però non si è ancora creata a livello globale la massa critica necessaria per rispondere davvero alle sfide dei nostri tempi, ovvero la perdita di biodiversità, i cambiamenti climatici, il degrado del suolo e di altre risorse naturali. Dunque serve una nuova fase evolutiva – l’abbiamo chiamata Biologico 3.0 – e sarà quella in cui l’agricoltura biologica uscirà dalla nicchia e diventerà una delle molteplici soluzioni per far fronte alle sfide del pianeta. I nostri principi fondamentali, cioè salute, ecologia, equità e cura rimangono come punto di partenza e visione per il futuro.

Quali sono le strategie del Biologico 3.0?

Vogliamo che il settore del biologico cresca, certificato o no, e nel contempo vogliamo renderlo sempre più sostenibile. Inoltre siamo impegnati a far sì che i principi e i metodi dell’agricoltura biologica vengano adottati anche nell’agricoltura convenzionale. Lavoriamo per lo sviluppo delle competenze, sull’incremento della domanda e per rendere la politica ambientale più efficace. Recentemente, con la Fao e con il World Future Council abbiamo conferito il premio per le migliori politiche sull’agroecologia e sui sistemi sostenibili del cibo allo stato indiano del Sikkim, il primo 100% biologico al mondo. Lavoriamo per una cultura dell’innovazione e di miglioramento continuo verso le buone pratiche. Cerchiamo modi per superare il metodo attuale della certificazione rilasciata da enti terzi, per esempio con il coinvolgimento dei consumatori nei progetti di agricoltura supportata dalla comunità (Csa) o nei sistemi di garanzia partecipata. Vogliamo essere più aperti a vari aspetti della sostenibilità e imparare dagli esperti in vari settori, dalla biodiversità all’energia. Vogliamo introdurre e diffondere il concetto di costo reale come strumento di comunicazione e di sensibilizzazione, per dimostrare che i prodotti biologici non sono più costosi, ma valgono il loro prezzo. Vogliamo fermare il sistema perverso dei sussidi che sostiene gli agricoltori che inquinano e non tiene in considerazione altri costi, come quelli per la salute.

Quale potrebbe essere il ruolo dei consumatori in questa strategia?

I consumatori sono cittadini e votano. Sempre più cittadini si rifiutano di votare a favore di sussidi a favore di pratiche agricole che inquinano, oltre ai quali poi si devono pagare sia i costi di ripristino sia quelli legati alla salute. I cittadini dovrebbero preferire un sistema che premia e incentiva gli agricoltori che lavorano in maniera sostenibile. In secondo luogo, i consumatori hanno un’identità culturale, sono legati al loro cibo e ai sapori che ritrovano nel cibo locale e di stagione, coltivato e trasformato nei loro territori. I cittadini sono madri e padri che pensano ai futuro di figli e nipoti e a quello che lasceranno loro per vivere. Per queste ragioni i cittadini vogliono partecipare a rendere i sistemi del cibo sostenibili, in prima persona e non come consumatori passivi.

Nel documento «Biologico 3.0» sottolineate il concetto di innovazione e di pratiche agricole innovative. Che spazio c’è per l’innovazione in un sistema che fissa standard minimi?

È vero che gli standard dei regolamenti biologici obbligano al rispetto di requisiti minimi, ma non stabiliscono di per sé le migliori pratiche sostenibili. O target elevati. Per questo abbiamo bisogno di innovazioni. Per esempio, prove di lungo periodo hanno dimostrato che alcune lavorazioni del suolo rendono le produzioni agroecologiche più resilienti in caso di siccità o di pioggia. Anche innovazioni nelle tecniche di compostaggio, dell’uso di varietà di semi e di applicazione del letame, tutte aiutano a migliorare il sistema, pur sempre all’interno degli standard. Insieme al Rural Development Administration della Corea del Sud, Ifoam ha istituito un premio per l’innovazione in agricoltura biologica proprio perché essa gioca un ruolo cruciale nell’adozione di pratiche agronomiche sostenibili e rigenerative.

Un punto debole della produzione biologica sono ancora i prezzi: come si può determinare il prezzo giusto ed equo sia per i produttori che per i consumatori? E come pensate si possano ricompensare gli agricoltori per i servizi ecosistemici che rendono all’ambiente?

Sappiamo bene che oggi danneggiare l’ambiente e sfruttare le persone è economicamente più vantaggioso che proteggere le risorse naturali e prendersi cura del benessere sociale. Tuttavia in molti paesi europei esistono sistemi di ricompensa per gli agricoltori che lavorano, per esempio, sulla protezione della biodiversità. Qualche volta è il governo a pagare per le misure di protezione, altre volte sono i consumatori, pagando un po’ di più per i prodotti. In entrambi i casi viene premiato un comportamento virtuoso. Noi ci battiamo per un sistema che impedisce o almeno impone tasse sulle pratiche che impattano negativamente sull’ambiente. Se andiamo ad analizzare il valore reale dei prodotti, considerando le esternalità negative, possiamo dimostrare che a costare di più sono i prodotti di agricoltura convenzionale che troviamo al supermarket!

Gli agricoltori europei temono sia la concorrenza sui prezzi da parte dei paesi in via di sviluppo, sia l’avvento dei colossi del biologico. La terza fase del biologico come si sta attrezzando?

Se ci focalizziamo solo sui prezzi rischiamo un corsa verso il baratro. Quando i prezzi sono troppo bassi significa che altrove qualcun altro sta pagando un alto prezzo. E poi il cibo non si può valutare solo in base al prezzo. Il territorio, il sapore, la qualità, la cultura del cibo, sono tutti valori per i quali gli agricoltori vanno ricompensati in modo equo. Dovremmo batterci per un mercato che paghi in modo equo gli agricoltori e dove il denaro pubblico investito in agricoltura venga utilizzato per aiutare i produttori a fornire beni pubblici alla società.

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