Trenta morti, forse sessanta: questo il bilancio del massacro compiuto dopo la preghiera del venerdì fuori da una moschea sunnita nel villaggio di Imam Wais, alle porte di Baquba, provincia di Diyala, una delle quattro occupate dall’Isil. Ad aprire il fuoco una milizia sciita, ennesimo esempio dei settarismi interni ormai sfociati in una vera e propria guerra civile. Trenta corpi senza vita sono stati portati al più vicino ospedale, ma secondo fonti della sicurezza i morti sarebbero il doppio.

Il bagno di sangue iracheno non ha fine, insieme alla crisi umanitaria che sta attanagliando il nord del paese: secondo le Nazioni Unite sarebbero 700mila gli iracheni fuggiti dalle aree occupate dai jihadisti e in cerca di protezione in Kurdistan: «La regione curda sta ospitando circa 700mila sfollati, molti dei quali arrivati all’inizio di giugno», ha fatto sapere Adrian Edwards, portavoce dell’UNHCR, che ha predisposto una serie di voli per portare aiuti umanitari e tende agli sfollati.

«All’interno del paese, i rifugi restano la priorità, troppi vivono in condizioni terribili in moschee, scuole, chiese e palazzi in costruzione – ha aggiunto Edwards – I rifugiati si spostano nei campi appena le nuove tende vengono montate». E il loro numero continua a salire: sono sempre di più le famiglie in fuga dalle violenze, gli stupri, le esecuzioni dell’Isil e dalla nuova legge imposta dai jihadisti nelle città occupate: testimoni hanno raccontato alla stampa di nuove carte d’identità emesse dal movimento qaedista a Mosul, con il logo del gruppo e del califfato dello Stato Islamico.

In prima linea, a tentare di arginare l’offensiva jihadista, sono i peshmerga che ieri hanno lanciato una nuova operazione per riassumere il controllo della città di Jalawla, provincia di Diyala, al confine con l’Iran e a 130 km dalla capitale, strategico punto di passaggio tra Baghdad e il nord est dell’Iraq: i miliziani curdi avrebbero attaccato all’alba di ieri la comunità da diverse direzioni, spiega Shirko Mirwais, ufficiale del partito curdo PUK. Scontri anche nel nord della provincia di Babil, l’antica Babilonia, a sud di Baghdad: qui a confrontarsi sono stati ieri l’esercito iracheno e un gruppo di miliziani dell’Isil, che tentavano di entrare nel distretto di Jufr al-Sakher attraverso il fiume Tigri, armati e provvisti di cinture esplosive. Diciannove i morti tra gli estremisti sunniti.

A sostenere gli sforzi di curdi e esercito iracheno sono i bombardamenti, tuttora in corso, da parte dei droni statunitensi. Ma potrebbe non bastare. Ad avvertire del pericolo è lo stesso segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel, che giovedì – sottolineando l’ampia capacità dell’Isil di riorganizzarsi in fretta dopo ogni attacco – ha paventato la possibilità di un intervento anche in Siria, dove il gruppo nato da una costola di Al Qaeda è nato e cresciuto. «Stiamo valutando tutte le opzioni – ha tagliato corto Hagel, aprendo però la strada all’eventuale espansione dell’offensiva Usa – Nel complesso, queste operazioni hanno bloccato lo slancio dell’Isil e permesso alle forze irachene e curde di riguadagnare terreno».

Gli fa eco il generale Dempsey, capo di Stato maggiore Usa: «Si tratta di un’organizzazione che ha una visione strategica apocalittica e che alla fine deve essere sconfitta. La domanda è: possono essere sconfitti senza colpire la parte dell’organizzazione che si trova in Siria? La risposta è no. Devono essere colpiti su entrambi i fronti di quello che oggi è un confine inesistente».

Ovvero, all’amministrazione Obama spetta il compito di mettere una pezza al problema creato nei tre anni appena trascorsi: i consistenti finanziamenti diretti alle opposizioni moderate siriane e finiti nelle mani dei gruppi estremisti e gli occhi chiusi sul denaro e le armi fornite dagli alleati del Golfo hanno permesso il repentino sviluppo dell’Isil. Lo Stato Islamico di Al Baghdadi, nonostante in quest’ultima settimana abbia subito la controffensiva irachena e curda, si sta radicando nelle province occupate ad est e ovest del confine tra Iraq e Siria, dove – mettendo all’angolo i gruppi di opposizione rivali, oggi costretti a combattere sia il regime di Assad che l’Isil – ha nelle ultime settimane occupato una decina di villaggi intorno Aleppo e oggi assedia la città di Marea.

Il controllo di giacimenti di petrolio, città di frontiera e comunità e l’ampliamento delle risorse finanziarie e militari a disposizione stanno inoltre attirando un numero crescente di potenziali jihadisti, non solo dal Medio Oriente, ma anche da Europa e America. Nuove cellule sono nate in Nord Africa e Asia, rendendo il conflitto iracheno una questione globale.