La mattina di martedì, gli studenti delle facoltà dell’Università Federale di Rio de Janeiro (Ufrj) hanno realizzato affollate assemblee per fare il punto della situazione dopo la battaglia campale che è cominciata il pomeriggio di lunedì davanti lo stadio Maracaná, per poi spegnersi soltanto nelle prime ore della notte nel centro della città, quando i reparti speciali della Polizia Militare hanno fatto largo uso di lacrimogeni e di pallottole di gomma.
Gli studenti politicamente legati ai partiti della sinistra comunista (Psol, Pcb e Pcr), dopo una lunghissima assemblea hanno deciso di continuare la protesta fin tanto che governo federale e stato di São Paulo non ritireranno i decreti che con gli aumenti dei bigletti per tutti i trasporti pubblici.
Cosi facendo gli studenti dell’Ufrj sono riusciti a mettere in piedi un effettivo coordinamento territoriale mobilitando gli studenti delle altre università brasiliane. Inoltre dalle assemblee dell’Ufrj, della Uerj (Università dello Stato di Rio de Janeiro) e della Uff (Università Federale Fluminense di Niteroi) è partito un appello per tutti i comitati ed i movimenti delle favelas, in particolare quelli della favela di Maré, che è la più politicizzata di Rio de Janeiro e con forti legami con i deputati del Psol e del Pcb.
Secondo Vladimir Palmeira – lo storico lider del ’68 carioca e il rappresentante più influente della sinistra del PT – «le manifestazioni degli studenti e dei lavoratori nelle principali città del Brasile rappresentano una realtà politica e sociale che il governo federale non vuole affrontare, lasciando che i governatori risolvano la questione ricorrendo solo alla Polizia Militare che, come tutti hanno potuto vedere ha sfoggiato livelli di violenza e di barbarie. Infatti a molti di noi hanno subito ricordato la Pm della dittatura. L’unica differenza sono le nuovi armi e le uniformi differenti. Uguale, invece è la violenza e la volontà bestiale di picchiare».
Secondo quanto trapela dall’Assemblea degli studenti della facoltà di Serviço Social dell’Ufrj, lo scontro maggiore con le forze dell’ordine ci sarà in occasione della partita Brasile-Italia. Cioè quando i gruppi e le associazioni dei quartieri delle favelas scenderanno in piazza insieme agli studenti, al Movimento dei Sem Terra (Mst) e alla maggior parte dei sindacati.
Non è stata una casualità e nemmeno una cospirazione dei militanti comunisti del Psol, Pcb e Pcr a fischiare ripetutamente la presidente Dilma allo stadio Maracan°. La maggior parte di coloro che lo hanno fatto per quasi cinque minuti, hanno voluto contestare direttamente il Pt, il governo e l’erede di Lula che non avrebbero rispettato le promesse fatte in campagna elettorale. Infatti, i brasiliani e soprattutto gli elettori che hanno votato per il Pt e per Dilma vogliono dal governo risultati immediati ed economicamente efficaci. Per questo non danno molta importanza alle questioni internazionali che l’attuale governo ha risolto, a volte in modo esemplare, come per esempio l’annullamento del debito con i paesi africani più poveri o per aver fissato una nuova agenda di lavoro per il rispetto dei diritti civili e l’inserimento effettivo delle minoranze («negri» e «indigeni») nella società.
È difficile, comunque, intepretare la linea geo-strategica della presidente Dilma che, nel mese di maggio, ha firmato un decreto per realizzare la vendita dei blocchi petroliferi del «Pré-Sal» mentre a gennaio, subito dopo il colpo di stato contro il presidente del Paraguay Lugo, aveva aperto le porte del Mercosur al Venezuela.
Due decisioni che implicano strategie differenti. Da un lato con la vendita dei blocchi del Pré-Sal le multinazionali Usa possono finalmente entrare nel «paradiso petrolífero brasiliano», abbassando così la tensione con il Brasile e lo «spirito critico» di certi comandanti militari dell’esercito brasiliano.
Dall’altro invece aver aperto le porte al Venezuela ha immediatamente reso felici tutti gli industriali, grandi e piccoli, del Brasile, ma anche dell’Argentina e dell’Uruguay, che sognano di esportare a Caracas tutto quello che producono. Un’operazione apparentemente economica ma in realtà profondamente di natura politica che obbliga gli Stati Uniti a restare appollaiati in Colombia e nell’estremo Cile, mentre diplomatici e industriali brasiliani danno le carte nel resto dell’America Latina.
Purtroppo anche la classe politica tradizionale che governa città e stati non ha capito il cambiamento di rotta che Lula prima e Dilma adesso hanno imposto al Brasile. E, forse anche per questo, commettono errori politici fondamentali provocando l’ira dei giovani e dei più poveri con aumenti stupidi e inutili di tariffe pubbliche.