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Opposizioni, l’annus horribilis non è ancora finito

Roma 13 marzo 2023, Assemblea nazionale del PdRoma 13 marzo 2023, Assemblea nazionale del Pd

Politica Il Pd ha evitato le due opa ostili di 5 stelle e Calenda. Il salario minimo un primo passo. Ma pesano le divisioni su guerra e migranti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 24 settembre 2023

Definire quello iniziato a settembre 2022 un annus horribilis per le forze di centrosinistra appare persino riduttivo. Una campagna elettorale persa ancor prima di cominciare, il patrimonio di una coalizione giallorossa nata nel 2019 dilapidato in pochi giorni, quelli della caduta di Draghi. L’ascesa a palazzo Chigi della premier più a destra della storia repubblicana.

Un anno fa il campo di centrosinistra era ground zero. Il Pd sotto il 20%, il M5S risuscitato dai pronostici di azzeramento ma sospinto sempre più verso una deriva solitaria, Sinistra e Verdi anch’essi superstiti poco sopra il 3%. Durante i primi mesi del governo sovranista, l’unica notizia degna di nota è stata la cavalcata di Elly Schlein alla guida del Pd con le primarie vinte a febbraio. Una vittoria a sorpresa per quasi tutti gli osservatori, un successo ottenuto ribaltando la linea “riformista” del Pd renziano (ma non solo), e dicendo cose di sinistra su temi come il lavoro, i salari, l’ambiente, i diritti. Il risultato più concreto è che, dopo il congresso, non si parla più della fine del Pd, che anzi pare aver resistito alle spinte autodistruttive alle due opa ostili che erano partite lo scorso autunno: Conte da “sinistra” e Calenda dal centro. Per il leader 5s la vittoria di Schlein è stata da subito una sfida: lei lo ha inseguito su temi come il salario minimo, la difesa del reddito di cittadinanza, la transizione ecologica. E non ha avuto remore a farsi subito vedere nelle piazze, a fianco di Landini e anche di Conte. Prima a Firenze, a marzo, quando il sindacato convocò una manifestazione dopo un pestaggio squadrista davanti a una scuola. Poi persino quella convocata dai 5s a giugno nella Capitale. Un tentativo di riconnettersi con mondi che avevano girato le spalle ai dem, di recuperare tradizionali voti di sinistra finiti nell’astensione o nel M5S. Tentativo ancora in corso, e si capirà forse alle europee di giugno se l’esperimento avrà fatto qualche passo avanti.

Nelle altre opposizioni ci sono stati cambiamenti meno significativi. Conte resta saldamente alla guida del Movimento, con Grillo ridotto a occasionale spalla. Al centro l’infinita telenovela Renzi-Calenda, con accuse, furti reciproci di parlamentari e dispetti vari, ha prodotto una divisione ormai insanabile: con il leader di Azione che pare intenzionato (ma i suoi voltafaccia sono proverbiali) a collocarsi stabilmente nel fronte anti-Meloni, pur da posizioni moderate, mentre Renzi come una mina vagante tenta di sopravvivere strizzando l’occhio alla maggioranza, a partire dall’elezione diretta del premier, con la vana speranza di prendersi quel che resta di Forza Italia.

All’inizio dell’estate si muove qualcosa, le opposizioni unite (tranne Renzi) firmano una proposta di legge comune sul salario minimo a 9 euro l’ora. E per la prima volta Meloni è costretta in difesa, ospitando le minoranze a palazzo Chigi, salvo poi demandare la pratica al Cnel. Ma il messaggio arriva, la raccolta firme è un successo (oltre 300mila solo in agosto), e una certa sensazione di stordimento sembra sparire. E’ una estate caratterizzata da reciproche cortesie tra Conte e Schlein: lui va alla festa dell’Unità a Ravenna(con la claque), lei alla festa del Fatto quotidiano. Sembrano prove tecniche di ricomposizione. Ma il leader 5s ha sempre il freno a mano tirato: «No ad alleanze posticce». La guerra in Ucraina è il tema che per tutto questo anno ha continuato a segnare un solco profondo: M5S e sinistra da una parte contro l’invio di armi, Pd e Calenda dall’altra, pur con alcuni accenni più pacifisti di Schlein. Troppo poco per ipotizzare una alternativa di governo.

La tentata resurrezione delle opposizioni coincide con il primo vero momento di difficoltà del governo, alle prese con un agosto e un settembre che promettono una manovra senza soldi, e molteplici fronti di scontro interni e internazionali. Le europee per giugno iniziano a creare fibrillazioni dentro gli schieramenti assai prima della vera campagna elettorale. E così l’emergenza migranti, con il fallimento della linea muscolare del governo, non è l’occasione per un passo comune delle opposizioni. Anzi. Conte coglie la palla al balzo per ritrovare una postura sovranista e accusa i dem di volere una «accoglienza indiscriminata». E quando gli viene fatto notare che sono le stesse accuse delle destre si infuria: «Non permettetevi». Schlein prova a stare fuori dalla querelle: «Io faccio opposizione alla destra». Uno scontro così duro da allontanare la prospettiva di forti iniziative comuni contro la legge di Bilancio. La piazza del Pd, se ci sarà, sarà un po’ solitaria. Possibile che i due leader si ritrovino il 7 ottobre, di nuovo sotto il cappello di Landini. E che in Parlamento ci siano emendamenti comuni (anche con Azione e Sinistra-Verdi) in difesa della sanità pubblica. Difficile aspettarsi di più prima delle europee. Dentro il Pd è già partita la caccia dei cosiddetti riformisti che accusano Schlein di una «deriva estremista di sinistra» e tramano per ribaltare l’esito delle primarie. Saranno i risultati di giugno a dire se la segretaria riuscirà a restare in sella, e con quale peso politico relativo rispetto ai potenziali alleati. In caso di default, il gioco dell’oca ritornerà alla casella di settembre 2022, coi dem sull’orlo dell’implosione e nessuna ipotesi di coalizione. L’annus horribilis non è ancora finito.

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