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Operazione Husky, 1943

Operazione Husky, 1943Phil Stern i Rangers del gen. Darby verso la Sicilia – Phil Stern

Phil Stern Torna in Sicilia a novantatre anni il fotografo ufficiale di guerra che documentò lo sbarco in Sicilia. A da lui, celebre anche per le foto dei divi hollywoodiani, è dedicata una mostra ad Acireale

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 luglio 2013

 

Cosa rappresentano, nell’esistenza di un uomo, sessanta giorni? Uno spicchio di tempo, se misurati con puro calcolo aritmetico. Infinitamente di più se a quei giorni appartengono le date del 10 luglio e dell’8 settembre 1943, e l’uomo che li ha vissuti porta il nome di Phil Stern.

Dieci luglio 2013, settant’anni dopo. In piazza del Duomo ad Acireale, Sicilia, capolavoro di barocco religioso e civile, una vecchia jeep militare made in USA guarda un po’miope per l’età Palazzo Costa Grimaldi, sede della Galleria del Credito Siciliano. Guarda le linee severe del palazzo e lo striscione che occupa parte della facciata. La scritta annuncia ‘Phil Stern. Sicily 1943’. Notabili e politici con famiglia al seguito, troupe con telecamere in spalla, fotografi, giornalisti, si accalcano davanti all’ingresso. Un minibus si ferma proprio lì, una portiera scorre, un signore molto anziano scende. Per camminare si appoggia a un carrello, sul carrello una piccola bombola per l’ossigeno. Il signore si guarda intorno, gli occhi si accendono, lo sguardo mette a fuoco la folla, le labbra formulano un sorriso e forse abbozzano un ‘good evening’.

Quel signore si chiama Phil Stern, novantatre primavere. È tornato in Sicilia per la mostra a lui dedicata, che documenta la sua attività di fotografo ufficiale di guerra durante lo sbarco angloamericano sulle coste della Sicilia, l’Operazione Husky iniziata nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 e conclusa con l’armistizio firmato da Pietro Badoglio il 4 settembre, ma ufficializzato dalla radio soltanto quattro giorni dopo. Settant’anni da quei fatti e settanta scatti per commemorarli. La folla prima all’ingresso, adesso si accalca nei locali dove verrà presentato l’evento.

Phil siede a un estremo del lungo tavolo, ascolta i discorsi ufficiali, aspetta il suo turno per parlare. E quando arriva il momento, la voce ha un suono ancora limpido, le parole scorrono fluide fino all’arrivederci venato dalla buffa inflessione americana. Incredibile vecchio, Phil. Protagonista di una vita che lo ha portato dai set cinematografici hollywoodiani ai fronti di guerra, per ritornare tra i divi della Città del Cinema quando i cannoni e le bombe smisero di mietere vittime. Incredibile anche l’autentico colpo di fortuna che ha permesso alla mostra di assumere un carattere senza dubbio unico. È il curatore Ezio Costanzo a raccontarlo.

Un paio di anni fa, durante le ricerche che erano seguite alla decisione di ricordare l’anniversario, Costanzo rintraccia nei National Archives di Washington alcune foto dello sbarco in Sicilia. Sul retro portano la scritta Stern e il timbro del reparto Combat Camera americano. Il pensiero va subito allo Stern dei ritratti di Sophia Loren, Marilyn Monroe, John Wayne, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Louis Armstrong, al fotografo ufficiale di John Kennedy.

Successive indagini confermano che quello stesso Stern aveva vestito anche i panni del reporter di guerra. Il contatto con lui avviene un anno dopo, la risposta è subito positiva. Phil accetta l’idea della mostra, e durante la conversazione si ricorda di avere da qualche parte una serie di negativi mai stampati del lavoro svolto tra Licata, Gela, Comiso, Catania, Palermo. Sobbalzo inevitabile da parte di Costanzo, poi gli incontri a Los Angeles, dove il Maestro vive, le prime stampe, la scoperta di un patrimonio rimasto per decenni nell’oscurità di un baule.

Viene da chiedersi come sia stata possibile, da parte di Stern, una dimenticanza di questa portata. Risposta potrebbe arrivare ripercorrendo la vita di un uomo nato il 3 settembre 1919 nel Bronx da genitori ebrei russi emigrati. Un uomo che appena ventenne, dopo un apprendistato nella bottega di un fotografo, diviene free lance per riviste quali Friday, Collier’s, Life, Look. Il mondo in cui lavora è quello del grande schermo e del grande jazz. Qui mette in bianco nero i ritratti di tante celebrità, e si ritrova fianco a fianco con l’Orson Welles regista di Citizen Kane.

Nel 1941 si arruola volontario, partecipa alle campagne in Nord Africa, viene ferito in Tunisia. Il rimpatrio è di breve durata. Phil vuole partecipare allo sbarco in Sicilia armato soltanto della sua macchina fotografica. Il colonnello William Darby, creatore del corpo dei Ranger, accetta. Le immagini firmate da Stern diverranno protagoniste della rivista delle forze armate americane Stars and Stripes. Nuovamente ferito, il giovane reporter torna negli States, questa volta per sempre. Hollywood lo consacrerà interprete ineguagliabile del carattere, delle inquietudini, delle fragilità nascosti dietro il fascino e la bellezza dei mostri sacri da lui incontrati e poi frequentati, primo fra tutti James Dean cui fu legato da autentica amicizia. Il matrimonio con Rose, nel 1945, porterà quattro figli. Quei figli che, insieme a nuore e nipoti, lo hanno accompagnato durante il ritorno in Sicilia.

Ed è proprio di quel ritorno che occorre parlare prima di tutto, poiché rappresenta una chiave indispensabile per accedere al significato e al valore della mostra. Carmelo Nicosia è docente di fotografia all’Accademia di Belle Arti di Catania; alle spalle Milano, Roma, Parigi fine anni ’70, campi base professionali da cui era partito per raccontare un mondo in divenire e denso di fermenti. Nei dieci giorni della permanenza di Stern in Sicilia, Carmelo lo ha seguito raccontando per immagini in bianco e nero la cronaca di un viaggio fatto di ricordi, emozioni, luoghi mutati radicalmente ma rimasti impressi nel cuore, silenzi, sorrisi, lacrime sottili che non si possono né si vogliono fermare.

«A volte, nella vita, le cose avvengono per strane combinazioni. In questo caso, l’occasione di una mostra ha coinciso con un desiderio che Phil coltivava da lungo tempo, magari in segreto, magari inconsciamente: rivedere quei luoghi dove era stato da ragazzo, dentro gli scenari di una guerra. Penso che per lui, questa occasione abbia rappresentato una sorta di chiusura del cerchio. Se nei contatti istituzionali ho visto una persona molto pragmatica, padrona di se stessa, nei giorni che abbiamo trascorso insieme ho visto la stessa persona piangere. Di commozione e di felicità per l’accoglienza della gente».

La gente sa chi è Phil Stern, nonostante siano passati settant’anni e lui non abbia mai fatto ritorno in Sicilia prima di oggi? «Certo. A Licata, Gela, Comiso sanno chi è, perché sanno cos’è stato lo sbarco: l’idea della guerra in una Sicilia dove la lotta partigiana non ha avuto un ruolo protagonista. La guerra ha rappresentato un accadimento. Terribile e tragico, con migliaia di morti e cumuli di macerie, ma pur sempre un accadimento in grado di sconvolgere l’ordinarietà di un luogo allora ancor più lontano di adesso». La Sicilia era lontana anche dal fascismo, nonostante gli archi di trionfo, i ritratti di Mussolini e le scritte di regime sui muri? «La Sicilia era lontana e basta».

Il tuo ricordo più forte del viaggio con Stern «In quei giorni ho scoperto il carattere di un pezzo della mia terra che non conoscevo. Potrei chiamarlo senso della pietas per un vecchio, ma forse non spiega fino in fondo la banda municipale di Licata che ha suonato in onore di Phil come era avvenuto anni e anni prima per Frank Capra. A ciò va aggiunto che qui l’uomo di successo arrivato da lontano continua ad essere circondato da un’aura di ammirazione, ha qualcosa in più, suscita rispetto». Proviamo a guardare la mostra con gli occhi di Carmelo Nicosia fotografo. Di Stern si dice che era sempre nel posto giusto al momento giusto. È stato solo questo a costruirne la celebrità?

« La fotografia di Stern è fatta di luce. Lui aveva capito fin dagli inizi che la luce, come per gli Impressionisti, è il massimo dimensionamento di un’immagine. Non esiste, almeno per quello che ho visto nel preparare la mostra, una sua immagine in cui la luce sia sbagliata. Dietro l’obbiettivo, Stern non si lascia mai prendere dall’evento, controlla le ombre che ti dicono dove sei e in che situazione sei per decidere lo scatto. Con la Sicilia incontra la bellezza, ad esempio il barocco. Che fa suo e che interpreta attraverso una visione cinematografica. Lo stesso si può dire delle immagini che ritraggono gli abitanti dei paesi, i carabinieri, i soldati americani. Stern aveva già in mente il cinema, e infatti diverrà un grandissimo fotografo di scena».

Due piani, bianco delle pareti, le foto in grande formato appese con semplici puntine, come se fossero mappe militari dentro le stanze di un Comando militare. Ecco la mostra. Pensarla frutto di negativi che rischiavano l’oblio o il destino polveroso di un archivio, aggiunge una valenza diversa e più forte al percorso.

È guerra la narrazione di Phil Stern. Si vedono i cannoni della contraerea puntati verso il cielo, la prua dei barconi carichi di ranger al largo delle coste siciliane, i carri armati nelle strade, i militari armati di fucili, le rovine delle case e degli edifici fascisti, la polvere che avvolge paesi sprofondati nel nulla della distruzione, la gente con le mani in alto non sai se in un gesto di resa o di saluto.

È guerra, che Stern scavalca per andare dietro le quinte delle campagne, delle vie sterrate e sulla soglia di case povere per nascita; punta l’obbiettivo sulle facce di uomini e donne che hanno negli occhi mille interrogativi, sugli sguardi incantati dall’accadimento e dalla cesura improvvisa di una lontananza secolare dal resto dell’Italia. Stern ritrae scene totalmente diverse da quelle dell’arrivo degli Alleati nelle grandi città come Milano e Roma, dove l’esercito liberatore lanciava gomme da masticare e sigarette a una folla osannante.

Nei campi e nelle vie di Gela e di Licata, i ranger sono quelli dell’Operazione Husky, per nulla chirurgica e invece foriera di morte. Sorridono accettando un fiasco di vino, si distraggono insegnando baseball a un bambino, guardano con divertito disprezzo un ritratto di Hitler, consumano la loro razione di cibo da una scatoletta appoggiata su una pietra. Difficile, anzi impossibile, immaginare a cosa pensino, e forse è proprio questo che Stern ha voluto fermare.

L’incubo della guerra dentro una calma apparente. La stessa calma che sembrano trasmettere gli uomini in fila per consegnare le armi, i carabinieri con il pennacchio da favola di Pinocchio tra la calca di gente, il carretto stracolmo lungo una strada bianca, le persone allineate davanti alla scritta ‘Vincere’, la solitudine di un anziano che cammina curvo lungo la pensilina di una stazione ferroviaria, le ragazze vestite a festa che civettano con i militari probabilmente senza capire una soltanto delle loro parole. Quando Stern si addentra tra la quinte degli orrori quotidiani, lo fa senza ombra di compiacimento, ben lontano dalla tentazione di stupire con il sangue e l’esibizione dello scempio umano.

Le immagini sono forti, ma non suscitano repulsione. Due corpi di soldati, ridotti a misere cose, giacciono ai bordi di una strada. Eppure non viene da distogliere lo sguardo. Si resta lì, molto più del tempo che serve per guardare, quasi che l’immagine assumesse i contorni di un monito. Il video per foto in dissolvenza di Nicosia e una lunga striscia di cento piccole e significative foto prestate dall’Imperial War Museum di Londra completano il corpo di una mostra, cui danno ulteriore linfa alcune frasi di Phil Stern disseminate sul bianco delle pareti.

Una di esse riassume il senso della sua vita, non solo professionale “Ho visto Marilyn nella sua casa e le navi esplodere sotto le bombe degli Stukas, gli occhi blu senza fine di Sinatra e i piedi di James Dean. Prima di morire, voglio rivedere la Sicilia”. Desiderio esaudito, vecchio e incredibile Phil.

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