Economia

Operai al ministero, ma Thyssen non cede

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Licenziamenti a Terni 550 in mobilità, chiusura di uno dei due forni fusori, e la volontà dell'azienda di vendere al miglior offerente

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 5 settembre 2014

All’inizio di agosto avevano occupato l’Autosole e assediato gli uffici dell’ad Lucia Morselli, costretta a passare una notte in fabbrica e uscire di soppiatto dopo quasi 24 ore di continue contestazioni. Ora che hanno avuto anche la benedizione di papa Francesco, gli operai degli Acciai Speciali Terni presidiano il palazzo del ministero dello Sviluppo economico. Si aspettano che dall’incontro arrivi la definitiva archiviazione di un piano industriale che di industriale non ha nulla, visti i 550 licenziamenti, la chiusura di uno dei due forni fusori, e la volontà di Thyssen Krupp di vendere al miglior offerente. L’ennesimo tentato omicidio nel comparto della siderurgia italiana. L’unica in Europa ad aver diminuito del 10% la produzione, in un contesto continentale che nel 2013 è risultato sostanzialmente stabile. E con previsioni positive, stimate in un +4%, per l’anno in corso.

A Terni si fa l’acciaio inossidabile, il titanio, i fucinati. Prodotti ad alto valore aggiunto. «E dopo la Germania – ricorda Claudio Cipolla che guida la Fiom locale – l’Italia è il secondo paese utilizzatore di acciai speciali in Europa. Un mercato da 960mila tonnellate annue, delle quali attualmente 350-380 vengono da qui». Ma Thyssen Krupp, raccontano gli operai, ha deciso di privilegiare i suoi stabilimenti tedeschi, lasciando in braghe di tela una fabbrica da più 2.500 addetti. Oltre a un indotto che fa di Ast il motore principale della città. Scesa in piazza con le tute blu, di fronte al concreto rischio di un impoverimento generale provocato dal disimpegno della multinazionale. Le proteste di agosto sono riuscite a «congelare» il piano non-industriale di Ast, nell’attesa dell’incontro odierno. Un vertice con la titolare del dicastero Federica Guidi e il sottosegretario Claudio De Vincenti che hanno voluto incontrare in separata sede prima l’ad Morselli e poi Maurizio Landini della Fiom, Marco Bentivogli della Fim e Mario Ghini della Uilm. «Il dialogo tra le parti – ha anticipato Ghini prima di entrare al Mise – si è incanalato su un nuovo percorso, ma per avviare il confronto è bene sgombrare il tavolo da ogni decisione unilaterale. Perché quel piano, così com’è, non va. E’ una constatazione di cui anche Thyssen Krupp ha preso coscienza».

Le richieste metalmeccaniche sono presto dette: «Il sindacato chiede che venga ritirata definitivamente la procedura di mobilità – spiega Landini – in modo di togliere dal tavolo il tema dei licenziamenti e aprire una discussione vera sul piano industriale e il rilancio dell’azienda. Siamo pronti a discutere, ma senza una spada di Damocle sulla testa e con una disponibilità vera dell’azienda al confronto. Ora il governo deve garantire che questo avvenga, e che il gruppo continui ad investire in Italia».

Almeno a parole l’esecutivo di Matteo Renzi ha preso posizione critica. Sandro Gozi ha allertato l’Ue, e ora fa sapere: «Almunia ha deciso di inviare a Thyssen Krupp una richiesta di informazioni, per valutare la compatibilità della sua condotta con le dichiarazioni presentate alla Commissione nell’ambito della riacquisizione di Ast». Nei giorni scorsi una delegazione di Sel ha incontrato la Rsu e ieri, al presidio, si sono visti il pentastellato Luigi Di Maio e Giorgia Meloni di Fdi. Alle nove di sera però in via Molise ci sono solo gli operai. E le pur frammentarie notizie che arrivano non sono positive: Thyssen Krupp non vuole cancellare il suo piano non industriale.

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