Opacità sui fondi e un’informazione grossolana
Università e Pnrr Esiste il rischio che si crei una sovrastruttura di 27 nuovi soggetti che, se diventasse stabile, si sovrapporrebbe al sistema Università-Epr, in sostanza commissariandolo (come si sta delineando per il Cnr), assorbendo risorse umane e finanziarie e lasciando ad Università-Epr risorse finanziarie marginali
Università e Pnrr Esiste il rischio che si crei una sovrastruttura di 27 nuovi soggetti che, se diventasse stabile, si sovrapporrebbe al sistema Università-Epr, in sostanza commissariandolo (come si sta delineando per il Cnr), assorbendo risorse umane e finanziarie e lasciando ad Università-Epr risorse finanziarie marginali
Negli ultimi mesi, a fronte di un dibattito sui mezzi di informazione incentrato sui provvedimenti relativi al Covid, è stato del tutto trascurato un tema cruciale: come si distribuiranno e investiranno i fondi del Pnrr? Il Pnrr mette a disposizione più di quattro miliardi per la ricerca intorno a tematiche fondamentali per il futuro del paese. È sicuramente importante concentrare le energie su questi temi, sebbene non appaia ben delineata la filiera tra alta formazione, ricerca e individuazione di saperi adatti alle future sfide ed appaia preoccupante la marginalità della ricerca di base.
Si tratta di un’occasione straordinaria per allineare le dotazioni di Università ed Enti pubblici di ricerca (Epr) al livello di altri paesi avanzati, dopo decenni di brutale sottofinanziamento. Ma esiste una forte opacità sulla scelta dei soggetti finanziati e sul processo decisionale. Esiste il rischio che si crei una sovrastruttura di 27 nuovi soggetti che, se diventasse stabile, si sovrapporrebbe al sistema Università-Epr, in sostanza commissariandolo (come si sta delineando per il Cnr), assorbendo risorse umane e finanziarie e lasciando ad Università-Epr risorse finanziarie marginali.
Memori della lezione della pandemia, ci saremmo aspettati che si comprendesse finalmente l’importanza della ricerca. Invece il 7 febbraio scorso abbiamo ascoltato il reportage di Iacona, “Il sistema università”. Il giornalista ha ripetuto luoghi comuni e generalizzazioni che dipingono l’università italiana tutta come luogo del malaffare, riportando alla ribalta, come fossero notizie del giorno, alcune vicende giudiziarie relative ad illeciti gravi nei concorsi universitari, già più volte descritte dall’informazione. Il teorema è: i concorsi universitari sono il regno dell’illecito, all’estero va molto meglio, i baroni si oppongono al cambiamento. La Ministra sentita, viene tagliata e spesso coperta dalla narrazione del giornalista, lasciando non chiarito cosa voglia cambiare nella normativa sui concorsi.
Non si dice nulla circa il fatto che la disciplina vigente rende molto più costoso per gli atenei reclutare un esterno piuttosto che promuovere un interno. Non si menziona la sovrapposizione, nelle procedure introdotte con la legge Gelmini, tra reclutamento, avanzamenti di carriera e trasferimenti, che crea ingiustizie e disincentiva la circolazione degli studiosi.
Non si approfondisce il fatto che nelle università tedesche (prese a termine di paragone), il finanziamento alla ricerca e gli stipendi sono estremamente più elevati che in Italia. Non si dice che, nonostante il sottofinanziamento, Università e Epr raggiungono tuttora ragguardevoli risultati nel panorama internazionale in termini di ricerca e livello dei laureati, che trovano ottime posizioni all’estero, mentre qui offriamo loro stage non retribuiti o stipendi da working-poors.
Infine, si confonde pericolosamente la programmazione scientifica dei dipartimenti universitari, che legittimamente puntano su precise linee di sviluppo e di ricerca, come in tutti i paesi avanzati, con pratiche di familismo, pure a volte presenti e naturalmente da combattere.
Sia chiaro: l’Università non è un luogo di santi e ha le sue colpe. Gli abusi concorsuali esistono e gli illeciti vanno condannati e puniti. Ma sparando nel mucchio, gettando discredito su università e ricerca, dipingendo l’accademia come un sistema mafioso, non si risolve nulla.
L’università ha fortemente bisogno che l’informazione parli seriamente di lei, oltre che della generazione perduta che non ha trovato posto nella ricerca a causa delle ridotte risorse e di una legislazione sbagliata che precarizza il lavoro degli scienziati.
Avremmo sperato che il Pnrr fornisse finalmente l’occasione per dare risposta ad una parte di questi problemi, ma già le prime avvisaglie – ad esempio, la scelta irragionevole di privilegiare l’investimento in posizioni a tempo determinato e borse di studio anziché rimpolpare i carenti organici degli atenei – suggeriscono che la direzione intrapresa sia un’altra.
E’ ancora possibile un cambio di rotta, ma è indispensabile che l’informazione squarci le ombre che avvolgono l’impiego delle risorse del Pnrr e stimoli la politica a sviluppare una visione di lungo periodo per ricerca e innovazione, anziché perseguire strategie miopi che subordinano a non meglio definite “esigenze immediate del sistema produttivo” il futuro del lavoro di ricerca nelle Università e Epr.
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