Internazionale

Onu, risoluzione contro gli «scafisti»

Onu, risoluzione contro gli «scafisti»Barconi dalla Libia – La Presse

Libia Pronti ad approvare l’uso della forza. L’Egitto ristabilisce le relazioni con Damasco

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 settembre 2015

Le Nazioni unite sono pronte ad approvare l’uso della forza contro gli scafisti. La risoluzione, presentata ieri, potrebbe autorizzare Ue e stati membri ad attaccare, anche militarmente, i «trafficanti di migranti ed esseri umani» e auspica una «risposta internazionale per affrontare il problema alla radice».
In altre parole, non appena l’inviato Onu in Libia, Bernardino León avrà in mano l’accordo e nascerà il governo di unità nazionale, da una parte, si procederà con l’avvio della missione di peace-enforcement, dall’altra, si individuerà l’interlocutore unico (fin qui sui migranti è stata Tripoli per un mero motivo geografico: i gommoni di disperati partono dalle coste della Tripolitania) per affrontare la questione dell’aumento dei flussi migratori. Su questo, le Nazioni unite non faranno molto di più che passare alla terza fase, dopo la decisione già presa in sede Ue con EuNavFor Med, che prevede di intercettare i gommoni e arrestare gli scafisti. Con il possibile avallo delle Nazioni unite, l’Ue potrà usare le sue navi per ispezionare gommoni sospetti e sequestrarli se i controlli confermano che sono utilizzati per il «traffico di migranti».

Sia Tripoli sia Tobruk si erano opposte a queste «interferenze» nelle acque territoriali libiche. Tanto che entrambe le fazioni hanno preso provvedimenti che nelle ultime settimane hanno ridimensionato gli sbarchi. Il Consiglio nazionale generale in accordo con le municipalità ha iniziato ad arrestare i profughi colti in flagrante nell’atto di lasciare le coste libiche. Tobruk ha invece istituito un Comitato locale anti-immigrazione. Anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e l’Alto rappresentante per la Politica estera Ue, Federica Mogherini, avevano criticato l’eventualità dell’uso della forza contro gli scafisti perché potrebbe implicare «effetti collaterali», incluse «morti di innocenti». L’atteggiamento di Tobruk sul tema dell’immigrazione è stato sempre ambiguo. Questo perché un attacco internazionale, con l’Egitto, avrebbe favorito le mire di Haftar di diventare il nuovo Gheddafi e di marciare su Tripoli, dopo almeno sei tentativi falliti.
Tre sono le cause che hanno inciso sui flussi di migranti siriani. La prima è determinata dalle politiche discriminatorie, stabilite dai paesi del Golfo e da altri paesi arabi (eccetto Yemen, Algeria e Mauritania) che non forniscono visti ai profughi che scappano dalla guerra civile di Damasco. La seconda causa è il cambio radicale della politica estera egiziana in seguito al golpe militare del 2013. Se l’ex presidente Mohamed Morsi forniva ai rifugiati siriani e palestinesi riconoscimento e documenti, puntando sulla fine del regime di Bashar al-Assad e l’ascesa al potere dei Fratelli musulmani siriani, il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha discriminato, deportato e arrestato migliaia di profughi. La formazione di identità transnazionali, aiutate in alcuni casi dalla comune affiliazione all’organizzazione internazionale della Fratellanza, ha spinto le autorità militari a vedere nei profughi siriani un sottoprodotto dell’insuccezzo degli islamisti nel guidare le frammentate opposizioni siriane e quindi un pericolo per la stabilità del regime militare cairota.

E così, l’Egitto oggi è un alleato di ferro di Damasco e ha ristabilito le relazioni diplomatiche con al-Assad, benedicendo il piano russo in Siria. «Qui i richiedenti asilo siriani soffrono e sono pronti anche a passare per l’orrore libico», ci spiega Heba Mansour, volontaria per Unhcr in Egitto. «Sono stigmatizzati dai media, scacciati dalle autorità e non hanno risorse».
La terza causa è la strategia del golpista Haftar che ha favorito alcune tra le tribù che da anni si occupano della gestione dei flussi, lasciando mano libera a scafisti e criminali che si occupano del passaggio da est a ovest dei disperati che vogliono raggiungere l’Europa. Se a questo si aggiungono i profughi afghani, eritrei e sub-sahariani è evidente che il fenomeno è diventato una bomba ad orologeria, insieme alla distruzione dei pozzi petroliferi, che avrebbe giustificato una nuova guerra.
Eppure ora le cose sono in parte cambiate rispetto a qualche mese fa. León continua ad assicurare di avere il governo di unità nazionale a portata di mano, ha ridimensionato le defezioni dell’ultima ora di Tobruk, dove Haftar e il premier al-Thinni sono alla resa dei conti per il controllo delle Forze armate, e ha chiesto di procedere con la definizione dei nomi dei ministri del nuovo esecutivo. Infine, al-Sisi ha trovato la sua eldorado con i giacimenti di gas a largo di Port Said tanto da poter allentare le sue pressioni sulla Cirenaica.

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