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Onu: «Entreremo a Ghouta est». Primi aiuti ad Afrin

Onu: «Entreremo a Ghouta est». Primi aiuti ad AfrinMiliziani dell'Esercito Libero ad Afrin – LaPresse

Siria Dai corridoi umanitari nel sobborgo di Damasco escono solo due cittadini pachistani, mentre gli scontri proseguono. La Croce rossa raggiunge il cantone curdo. Nelle due comunità si decide la guerra siriana

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 marzo 2018

È ormai un esercizio futile la conta dei giorni trascorsi dall’annuncio unilaterale russo di pausa umanitaria a Ghouta est, ordinata lunedì dal presidente Putin. Dopo tre giorni si combatte comunque, impedendo l’accesso di aiuti umanitari e l’evacuazione dei civili.

Ieri Mosca è tornata ad accusare le opposizioni islamiste arroccate nel sobborgo damasceno e mescolate ai 400mila residenti: secondo il generale Zolotukhin, di stanza a Damasco, i miliziani lanciano missili sul corridoio umanitario del checkpoint di al Wafadin, a nord, e ieri avrebbero ucciso quattro civili: «Dalle informazioni ricevute nelle ultime 24 ore il numero di appelli dei residenti di Ghouta est agli attivisti per i diritti umani sono aumentate di molto, con la richiesta di assistenza nell’evacuazione».

Richieste inevase, nessuno ha raggiunto le ambulanze della Mezzaluna. O meglio due persone sono uscite: due anziani pachistani sono stati evacuati in coordinamento con le diverse parti (a dimostrazione che un’intesa è possibile).

Diversa la versione delle opposizioni che parlano di cinque morti ieri in raid governativi. Interviene anche l’Onu attraverso il coordinatore umanitario in Siria, Jan Egeland: «Tra pochi giorni dovremmo essere in grado di entrare a Ghouta est. Siamo stati informati che potremmo ricevere una lettera di autorizzazione dal governo».

Di certo un convoglio di aiuti della Croce rossa è entrato nel cantone curdo di Afrin, a nord-ovest: a un mese e dieci giorni dal lancio dell’operazione turca «Ramo d’Ulivo», con abitazioni, ospedali, campi profughi bombardati, 29 mezzi hanno portato aiuti indispensabili a 50mila persone, cibo, vestiti invernali, saponi, coperte, medicinali.

Eppure Ankara ha continuato nei raid anche ieri: i caccia hanno colpito la periferia della città di Afrin, mentre il primo ministro Yildirim rispediva al mittente (per l’ennesima volta) le richieste di adesione alla tregua, mosse daUsa e Ue.

«Ci sono persone che confondono Ramo d’Ulivo con Ghouta est – ha detto parlando al parlamento turco – È ovvio che la risoluzione Onu (votata sabato scorso, ndr) si riferisce a Ghouta est».

Così non è: la risoluzione 2401 al primo punto parla di cessazione delle ostilità «senza ritardi per almeno 30 giorni consecutivi in tutta la Siria», con esclusione delle operazioni rivolte contro «l’Isis, al Qaeda e il Fronte al-Nusra, gruppi a loro associati e altri gruppi terroristi così designati dal Consiglio di Sicurezza». Le unità di difesa curde Ypg/Ypj sono chiaramente escluse.

L’escalation militare che coinvolge gli attori del conflitto globale che si combatte in Siria è lo specchio di una consapevolezza condivisa: la guerra si decide a Ghouta est, una delle tre enclavi ancora in mano alle opposizioni islamiste, e ad Afrin dove la Turchia si gioca la credibilità sul fronte regionale e i gruppi di opposizioni che l’appoggiano la sopravvivenza. Per questo il fuoco non cessa: nessuno intende cedere di un passo, a spese di un paese e un popolo devastati.

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