Onu e Francia condannano l’espansione delle colonie israeliane
Territori Occupati Il governo di Benyamin Netanyahu intende costruire un migliaio di nuove case negli insediamenti di Itamar e Bronchin. Perde quota l'iniziativa diplomatica di John Kerry
Territori Occupati Il governo di Benyamin Netanyahu intende costruire un migliaio di nuove case negli insediamenti di Itamar e Bronchin. Perde quota l'iniziativa diplomatica di John Kerry
Protestano le Nazioni Unite e la Francia. I nuovi piani di espansione degli insediamenti colonici israeliani nei Territori occupati violano la legalità internazionale e compromettono le possibilità di un accordo fra Israele e Palestina. Lo denuncia il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ha chiesto al governo di Benyamin Netanyahu di «congelare le attività edilizie e di rispettare i propri impegni nel quadro della legalità internazionale della Road Map per la pace». «Si tratta di misure contrarie al diritto internazionale e che compromettono gli sforzi per rilanciare un processo di pace credibile che conduca alla formazione di due Stati», aggiunge da parte sua Parigi. Tel Aviv non replica, per il momento.
Due giorni fa il quotidiano israeliano Haaretz aveva rivelato che il governo intende autorizzare la costruzione di 538 alloggi nella colonia di Itamar, nella Cisgiordania occupata. E starebbe valutando anche la possibilità di costruire altri 530 appartamenti nella colonia di Brunchin. Progetti che si aggiungono al via libera dato a fine maggio alla realizzazione di un migliaio di alloggi nelle colonie di Gilo e Ramot, nella zona araba di Gerusalemme, sotto occupazione dal 1967. Una colata di cemento che rappresenta la risposta di Netanyahu alla condizione posta dal presidente palestinese Abu Mazen per ritornare al negoziato: lo stop dell’espansione degli insediamenti colonici.
Si affloscia perciò l’iniziativa diplomatica del Segretario di stato John Kerry che avrebbe dovuto far ritorno nella regione questa settimana ma ha rinviato la sua missione, ufficialmente per l’aggravarsi della crisi siriana. Dietro le quinte si dice che il Segretario di stato ha preferito rinunciare per non rischiare un imbarazzante fallimento.
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