Onetti, sordidi universi urbani abitati da rinunce crudeli
Scrittori uruguaiani Con due titoli, «La vita breve» e «Il cantiere», parte il progetto di Sur, che ritraduce l’opera di Juan Carlos Onetti, riscattando l’allucinata grandezza della sua prosa dalle approssimazioni degli anni Sessanta
Scrittori uruguaiani Con due titoli, «La vita breve» e «Il cantiere», parte il progetto di Sur, che ritraduce l’opera di Juan Carlos Onetti, riscattando l’allucinata grandezza della sua prosa dalle approssimazioni degli anni Sessanta
La compattezza interna al corpus delle opere di Juan Carlos Onetti deriva dal ruotare quasi totalmente intorno alla immaginaria città di Santa María, che è stata paragonata dalla critica alla Yoknapatawpha County di Faulkner, alla Comala di Rulfo o a Macondo di García Márquez, pur distinguendosi abbastanza da quelle geografie illusorie. Proprio questa coerenza dà senso alla scelta dell’editore Sur, che dedica allo scrittore uruguayano uno specifico progetto, di cui vengono ora pubblicati i primi due titoli – La vita breve (traduzione di Gina Maneri e postfazione di Sandro Veronesi, pp. 395, € 18.00) e Il cantiere (traduzione di Ilide Carmignani e postfazione di Edoardo Albinati, pp. 220, € 16,50) – e altri sono previsti nei prossimi mesi.
La Santa María di Onetti è un universo urbano crudele nella sua assoluta banalità, sordido, percorso da egoismi, rinunce e fallimenti, abitato da personaggi solitari e desolati. Nel suo perimetro si svolgono storie diverse, che non si sviluppano secondo una precisa successione cronologica, seguendo in ordine la pubblicazione dei romanzi, ma in modo disordinato, attraverso continui richiami temporali, che sembrano alludere a un piano segreto, anteriore alla scrittura. Se qualche traccia è già rinvenibile in alcuni racconti degli anni Trenta, poi in romanzi brevi come Il pozzo (1939) e Tierra de nadie (1941) la vera fondazione letteraria della città avviene con La vita breve (1950), e prosegue nel Cantiere, poi in Raccattacadaveri, fino ad occupare tutto il resto dell’opera di Onetti.
I personaggi cardine
In questo spazio narrativo così peculiare – sorta di summa delle città rioplatensi dove Onetti visse parte della sua vita – giocano un ruolo cruciale alcuni personaggi cardine, protagonisti dei primi due romanzi del progetto d’autore. Il primo, Juan María Brausen, è colui che crea l’universo di Santa María, lo scrittore che nella Vita breve immagina la città come scenario di un soggetto cinematografico, e inventa il gioco di scatole cinesi di doppie e triple personalità, attraverso le quali cerca invano di dare un senso alla propria esistenza. Quando alla fine del romanzo si completa la costruzione dello spazio, la vita reale trasloca in quella artificiale, nella quale Brausen verrà celebrato come il «fondatore», con tanto di statue e piazze intitolate al suo nome.
L’altra figura centrale, quella di Larsen, appare fugacemente in Tierra de nadie, poi nella Vita breve, per diventare il protagonista assoluto dei romanzi successivi, nei quali la sua esistenza verrà raccontata tramite un procedimento a ritroso. Gli eventi che travolgono quest’uomo dall’apparenza ordinaria e un po’ volgare vengono narrati per esteso in Raccattacadaveri (1964), ma i lettori avevano già incontrato Larsen nel Cantiere (1961), impegnato a risanare dei cantieri navali in rovina, impresa impossibile che segnerà la sua fine.
Di fatto un esiliato, un proscritto, Larsen ha una sua personale grandezza, una dimensione esistenziale inattesa e fulminante, che si configura come modello di gran parte dei personaggi di Onetti: è lui la figura paradigmatica cui ricollegare l’Eladio Linacero del Pozzo, il Jorge Malabia di Per una tomba senza nome o il commissario Medina di Lasciamo che parli il vento, tutte possibili maschere di un unico tipo d’uomo. Nel momento in cui il senso della propria inutilità prende il sopravvento, Larsen ha raggiunto infatti una maturità senza illusioni e il suo ritorno a Santa María dopo cinque anni di esilio avverrà sotto il segno di una irraggiungibile chimera, per un progetto fin dall’inizio senza prospettive: ristrutturare i cantieri navali di Jeronimus Petrus, azienda fallita da anni, in cui nessuno più crede, e allo stesso tempo conquistare la figlia del vecchio armatore, Angelica, per raggiungere finalmente quella rispettabilità borghese sempre negata. Questo fallimento terminale è al centro del Cantiere, il romanzo considerato un vertice della narrativa ispanoamericana del Novecento.
La rivincita di Larsen nei confronti di quel mondo che lo aveva espulso così crudelmente si trasforma in un naufragio senza via d’uscita, in cui tutto sembra essere corroso da una malattia incurabile. Nel grande cantiere, i macchinari alludono con evidenza plastica allo stadio di decomposizione cui sono giunti uomini e cose, e i collaboratori di Larsen non sono che dei sopravvissuti, impegnati solo a racimolare qualche soldo per andar via quanto prima.
Il personaggio di Larsen nasce e si sviluppa in un gioco di opposizioni: la sfida del ritorno a Santa María, la volontà di riscatto e l’evidente follia dell’impresa, la fuga dal proprio passato e il suo riemergere a ogni angolo, tutti elementi che costruiscono una figura alla tenace e quasi eroica ricerca del fallimento, con una passione che lo porta all’autodistruzione.
La morte biografica, narrata peraltro come un’ipotesi possibile in quella frammentazione del punto di vista che è una delle grandi conquiste della narrativa di Onetti, non comporta però la scomparsa definitiva di Larsen dalla saga di Santa María.
Spiragli imprevisti
Oltre a riemergere nei ricordi di altri personaggi nei romanzi successivi, il personaggio riapparirà in uno degli ultimi capitoli della saga, Lasciamo che parli il vento (1979). Il commissario Medina, l’accompagnatore di Larsen e delle ragazze del postribolo alla stazione della città alla fine di Raccattacadaveri, ha una visione onirica in cui dialoga con l’antico nemico, che con il passare del tempo gli è diventato tanto simile. In questa sequenza di scatole cinesi Medina proverà a liberarsi dal suo destino, ma Larsen gli rivelerà senza pietà l’inconsistenza del suo tentativo. Quando però l’inganno del vivere sembra essere stato smascherato, si apre uno spiraglio imprevisto: la via per vincere l’ubiqua sconfitta passerà per il proporsi come soggetto della scrittura, facendo della parola una trincea di fronte all’inconsistenza del mondo.
La prosa avvolgente e incisiva di Onetti, una delle vette più alte di tutta la letteratura in lingua spagnola del Novecento, è stata resa magnificamente nelle nuove traduzioni, riscattandola dalle approssimazioni degli anni Sessanta, che ebbero un effetto deleterio sulla mancata ricezione dell’uruguaiano in Italia. La sua prosa è stata capace di trasformare l’allucinata grandezza dei personaggi in archetipi di un tipo umano, che si ritroverà frequentemente nella letteratura rioplatense: molti antieroi di Julio Cortázar, Mario Benedetti, Osvaldo Soriano, Rodolfo Walsh, Ricardo Piglia mostrano gradi di parentela più o meno stretta con i Larsen e i Brausen, ma nessuno giungerà ad esprimere un nichilismo tanto radicale, insieme a una così profonda solidarietà con la solitudine dell’uomo contemporaneo.
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