One Belt One Road, la via cinese alla globalizzazione
Dopo il Tpp La «nuova via della seta» che unisce i vecchi percorsi carovanieri insieme alla «via della seta marittima» è un progetto e non un trattato: toccherà almeno 60 paesi che producono un terzo del Pil mondiale (la maggioranza dei paesi coinvolti sono «in via di sviluppo» e hanno molto bisogno degli investimenti e delle merci cinesi) e coinvolgerà 4 miliardi di persone
Dopo il Tpp La «nuova via della seta» che unisce i vecchi percorsi carovanieri insieme alla «via della seta marittima» è un progetto e non un trattato: toccherà almeno 60 paesi che producono un terzo del Pil mondiale (la maggioranza dei paesi coinvolti sono «in via di sviluppo» e hanno molto bisogno degli investimenti e delle merci cinesi) e coinvolgerà 4 miliardi di persone
Donald Trump ha cancellato il Tpp, l’accordo transpacifico che avrebbe unito commercialmente dodici paesi ad esclusione della Cina.
Il Tpp era il trattato fondamentale della dottrina obamiana del «pivot to Asia», ovvero la volontà di bloccare l’espansione commerciale cinese nella propria regione.
Venute meno le basi del Tpp, i paesi cardine dell’accordo, Giappone e soprattutto Australia, si sono immediatamente rivolti alla Cina: il trattato non prevedeva infatti preclusioni a potenziali e futuri «firmatari». Pechino dal canto suo ha osservato con molta attenzione gli sviluppi, ricordando in sede internazionale il proprio progetto, ovvero «One Belt One Road», «la nuova via della seta», mastodontica idea di global governance cinese tesa a indicare l’approccio di Pechino alla globalizzazione.
Xi Jinping a Davos è stato chiaro: indietro non si torna e la Cina, al contrario degli Usa, promette la pace necessaria alla crescita, grazie alla propria politica estera di rispetto delle situazioni interne di ogni paese.
La «nuova via della seta» che unisce i vecchi percorsi carovanieri insieme alla «via della seta marittima» è un progetto e non un trattato: toccherà almeno 60 paesi che producono un terzo del Pil mondiale (la maggioranza dei paesi coinvolti sono «in via di sviluppo» e hanno molto bisogno degli investimenti e delle merci cinesi) e coinvolgerà 4 miliardi di persone. Dall’Asia, al Sud est asiatico, al Medio oriente, fino ad arrivare all’Africa e all’Europa, il disegno cinese è molto semplice, benché sofisticato: accordi bilaterali o tra più paesi, investimenti in infrastrutture e sfogo al gigantesco surplus del mercato manifatturiero cinese. Non solo, perché da tempo la Cina punta sull’innovazione e su questo investe anche all’estero.
Il progetto della via della Seta quindi è – teoricamente – a disposizione di tutti, perfino degli Usa. La Cina ha anche creato gli strumenti finanziari ad hoc: il New Silk Road Fund e l’Asian
Infrastructure Investment Bank (Aiib) a cui hanno aderito molti paesi occidentali. Di recente Yi Peng, a capo di un think tank cinese su «The Diplomat» ha provato a spiegare le linee guida della globalizzazione a trazione «cinese», in un articolo dal titolo «Come la Cina può guidare l’economia mondiale?».
Yi Peng pone la propria attenzione su quanto Xi ha sottolineato a Davos: la Cina può guidare la globalizzazione dando spazio ai paesi in via di sviluppo e garantendo possibilità per tutti. La piattaforma su cui mettere alla prova Pechino è proprio la nuova via della seta. Su questo si baserà la valutazione dell’idea di «fair development» sui cui ha deciso di scommettere Xi Jinping.
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