A questo punto chi al Senato vuole salvare il ddl Zan farà bene a cercarsi i voti uno per uno. Sì perché dopo la marcia indietro di Italia viva – che a novembre alla Camera votò il provvedimento e ora ci ha ripensato – l’assenza dei 17 senatori renziani è particolarmente pesante visto che Pd, LeU, M5S e Autonomie, quello che resta del fronte dei sostenitori della legge, non ha più i voti sufficienti per poter sperare in un via libera da parte dell’aula di Palazzo Madama.

Il che, naturalmente, non significa che abbiano rinunciato all’idea di mettere fine ai lavori della commissione Giustizia, diventata ormai un pantano per il ddl contro l’omofobia, e passare direttamente al giudizio dell’aula. «Ricominceremo a contare i voti con il pallottoliere come facemmo con le unioni civili» annuncia la dem Monica Cirinnà. «Certo che la strada è in salita ma la partita non è persa, bisogna capire quanti sono i senatori di Forza Italia favorevoli al provvedimento», ragiona nel pomeriggio la capogruppo del Misto, Loredana De Petris. Una strada resa più irta sia dal voto segreto, che nel caso sicuramente verrebbe chiesto dal centrodestra, sia dai dubbi che ancora sembrano serpeggiare anche nelle file del Pd tra chi, come il senatore Andrea Marcucci, si dice favorevole a una mediazione sul testo.

Nel tentativo, non riuscito, di vestire i panni del mediatore, ieri il leghista Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia autoproclamatosi relatore del ddl, ha convocato l’ufficio di presidenza e ridotto un po’ il numero delle audizioni: da 170 a 140, delle quali 70 scritte e 70 in presenza da terminare entro i primi di luglio. Nessuna calendarizzazione dei lavori, come più volte richiesto dalla vecchia maggioranza giallorossa, ma con in più la proposta di aprire un tavolo di confronto politico con i capigruppo per riscrivere la legge. «La disponibilità a fare presto e bene c’è. Basta coglierla», ha spiegato Ostellari.

Proposta respinta al mittente anche perché rappresenterebbe la pietra tombale della legge. «E’ evidente che non sia sufficiente ridurre il numero delle audizioni senza tempi certi per portare in aula il ddl Zan. Basta giochini: chi ritiene importante questa legge lavori con noi contro ostruzionismo e ambiguità», scrive su Twitter la capogruppo del Pd al Senato Simona Malpezzi. Dura anche Cirinnà, che parla di «ricatto» messo in atto dal presidente della commissione: «Solo dopo la conclusione del tavolo politico si fisserebbe il termine per presentare gli emendamenti, questo è inaccettabile» spiega la senatrice dem. «Il calendario della commissione deve essere chiaro, ci deve essere la possibilità, nel caso non ci sia alcun accordo, di andare in aula entro luglio. Chiediamo quindi che entro il 29 giugno sia chiuso il termine emendamenti e la discussione generale con le audizioni». E l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, oggi senatore LeU, avverte: «Questo testo è già frutto di una mediazione, fare lo scambio tra taglio di audizioni e modifica del testo ci pare cosa che meraviglia. Se vogliono stravolgere il testo Zan non siamo d’accordo».

Siamo ormai arrivati allo showdown per il ddl Zan e nei prossimi giorni si capirà se l’Italia sarà in grado o no di darsi una legge che punisca le discriminazioni e le violenze per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Due giorni fa i capigruppo di LeU, Pd, M5S e Autonomie – ma non di Italia viva – hanno scritto alla presidente del Senato Elisabetta Casellati denunciando l’ostruzionismo del presidente Ostellari nel far proseguire l’iter della legge. Fino a ieri sera la risposta della presidente non era ancora arrivata. Intanto, però, è cominciata la caccia la voto.