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Omicron, i dati dal Sudafrica sulla nuova variante

Omicron, i dati dal Sudafrica sulla nuova varianteSudafrica – Ap

Covid21 Dal Sudafrica arrivano a tempo di record i primi dati sulla gravità e sulla contagiosità della variante Omicron. Gli sforzi dei ricercatori sudafricani, però, non sono ripagati dalla comunità internazionale. Lo scopritore della variante Omicron accusa anche i colleghi.

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 7 dicembre 2021

A circa due settimane dall’individuazione della variante Omicron, dagli ospedali del Sudafrica inizia a emergere il profilo del nuovo ceppo virale. Si tratta ancora di informazioni parziali, raccolte all’avvio di una nuova ondata, quando la maggior parte delle persone infettate è all’inizio della malattia e non se ne conosce l’evoluzione. Tuttavia, non sono più le congetture avanzate dagli esperti nei primi giorni, ma le prime conclusioni preliminari basate su dati reali.

LA DOMANDA PRINCIPALE che si pongono gli scienziati riguarda la gravità della malattia provocata dalla nuova variante. Dai primi studi emergono notizie positive, sebbene provvisorie. Sabato scorso il Consiglio di ricerca medica del Sudafrica ha presentato un’analisi relativa ai pazienti ricoverati al policlinico universitario «Steve Biko» e all’ospedale distrettuale di Pretoria, nel distretto del Tshwane. È la provincia da cui è partito il focolaio della nuova variante e in cui si sono accumulati i primi casi. «Il migliore indicatore della gravità della malattia è il tasso di mortalità tra i ricoverati. Nei due ospedali si sono registrati dieci decessi nelle ultime due settimane, cioè il 6,6% dei 166 ricoveri», scrive Fareed Abdullah, l’infettivologo che ha scritto il rapporto. «Per il momento, i tassi di morte nelle ultime due settimane sono inferiori al tasso di decesso complessivo calcolato su tutte le ondate precedenti, pari al 23%».

Anche il decorso di guarigione appare più rapido. «Uno dei risultati più significativi di tale analisi è la durata molto più breve dei ricoveri, pari a 2,8 giorni nelle ultime due settimane, meno degli 8,5 giorni registrati in media nei precedenti diciotto mesi. L’Istituto nazionale per le malattie infettive del Sudafrica (Nicd) riporta conclusioni simili riguardo tutti gli ospedali del distretto di Tshwane. Lo studio riporta anche una minore percentuale di pazienti sotto ossigeno. Il dato sulla gravità dei sintomi è però influenzato dal diverso profilo di età dei pazienti ricoverati in questa fase: nei due ospedali l’80% dei ricoverati ha meno di 50 anni. Dunque, non si stancano di ripetere gli scienziati, ulteriori studi saranno necessari.

LA SECONDA DOMANDA riguarda la capacità del virus di aggirare l’immunità acquisita e reinfettare chi ha già avuto il Covid-19. Uno studio pubblicato in rete all’inizio di novembre, ma ancora non valutato da una rivista per una pubblicazione, ha mostrato che nella seconda e terza ondata, dominate dalle varianti Beta e Delta il rischio di reinfezioni era rimasto stabile. Gli autori, guidati dall’epidemiologa Juliet Pulliam dell’università di Stellenbosch, Sudafrica, hanno aggiornato a tempo di record la stessa analisi con i dati delle ultime due settimane di novembre. E hanno così scoperto che il tasso di reinfezione si è impennato, triplicando rispetto alle ondate precedenti. Le mutazioni presenti sulla variante Omicron sarebbero davvero in grado di “spiazzare” almeno in parte gli anticorpi già sviluppati.

Anche in questo caso, si tratta di risultati da confermare e interpretare. «Lo studio non fornisce dati sulla protezione dovuta ai vaccini. Inoltre non riporta dati sulla gravità di queste infezioni» fa notare François Balloux, professore di medicina all’Imperial College di Londra «La popolazione del Sudafrica – aggiunge – è tendenzialmente giovane, con un’età mediana di 27,6 anni. Perciò, i risultati di questo studio non possono essere trasportati direttamente in altri contesti, come l’Europa o il Nordamerica».

L’ULTIMO QUESITO sul virus riguarda la sua trasmissibilità, cioè quante persone vengono contagiate mediamente da una persona infetta (l’indice Rt). Secondo i dati del ministero della salute sudafricano, la variante Omicron nelle prime due settimane di monitoraggio ha registrato un indice Rt vicino a 2, mentre la Delta si era fermata a 1,5. Questo spiegherebbe come abbia fatto il virus a passare dai 275 casi del 16 novembre agli oltre 16 mila di domenica registrati in Sudafrica.

È encomiabile la velocità con cui i ricercatori hanno raccolto e condiviso i dati sulla variante Omicron con la comunità scientifica internazionale. Il mondo non ha ripagato il Sudafrica con la stessa moneta. «I governi hanno bloccato i viaggi dall’Africa, provocando rilevanti costi economici» ha denunciato su Twitter Tulio de Oliveira, direttore del Centro per la riposta e l’innovazione contro le epidemie di Stellenbosch e della Rete per la sorveglianza genomica del Sudafrica. È lui ad aver identificato per primo la variante Omicron e ad aver lanciato l’allarme. «Invece di aiutarci, stanno accaparrando altri vaccini per i richiami, farmaci antivirali per prevenire la malattia, i reagenti necessari a sequenziare i tamponi».

De Oliveira accusa anche la comunità scientifica internazionale, che starebbe sfruttando l’emergenza sanitaria sudafricana per il proprio tornaconto: «Gli scienziati stanno analizzando i dati senza il giusto riconoscimento per chi li ha generati. È corretto ringraziare, prendere i dati, scrivere pubblicazioni scientifiche a proprio nome e poi usare i risultati per ottenere fondi per le ricerche? La prossima volta chi condividerà ancora i dati preliminari?».

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