I È il momento della giustizia. A più di cinque anni dal rapimento di Giulio Regeni, sparito il 25 gennaio del 2016 mentre attraversava le strade del Cairo, diventano ora imputati i quattro agenti egiziani della National Security ritenuti dalla procura di Roma responsabili a vario titolo del sequestro pluriaggravato, delle lesioni personali (il reato di tortura non era ancora stato istituito nel nostro ordinamento all’epoca dei fatti) e dell’omicidio del ricercatore friulano. Ieri il gup Pierluigi Balestrieri li ha infatti rinviati a giudizio fissando la prima udienza del processo il 14 ottobre.

La decisione del giudice si basa sostanzialmente sul rifiuto dell’eccezione sollevata degli avvocati difensori riguardo l’irreperibilità e la mancata notifica ai quattro funzionari della sicurezza cairoti i cui domicili sono sempre rimasti coperti dal segreto opposto dalle autorità egiziane. Ma il generale Tariq Sabir (nel 2016 ai vertici della National security e ora trasferito a incarichi amministrativi) che con il colonnello Usham Helmi è accusato di sequestro di persona, Athar Kamel Mohamed Ibrahim (già capo del Servizio investigazioni giudiziarie del Cairo) e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, ritenuto dal pm Colaiocco l’autore materiale dell’omicidio, sono stati largamente avvisati a più riprese.

Come ha spiegato infatti la stessa procura nella memoria depositata, tutti gli imputati «hanno avuto certamente notizia dell’esistenza del procedimento penale italiano, essendo stati tutti e più di una volta, ascoltati dalla magistratura egiziana a seguito di richiesta rogatoriale di questo ufficio». Ecco perché il gup ha stabilito che «la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio». Perciò la loro è «volontaria sottrazione dal processo».

D’altronde, come sempre dal 2017, la Federazione nazionale della stampa italiana ha continuato anche ieri a fare da «scorta mediatica» ai genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, con un presidio in Piazzale Clodio mentre si svolgeva l’udienza preliminare a cui ha partecipato il presidente Giulietti, e a promuovere una forte copertura mediatica della vicenda sia sulle testate nostrane che internazionali. «Da oggi abbiamo la fondata speranza che almeno il diritto alla verità processuale non verrà violato – è stato il commento dell’avvocata di famiglia Alessandra Ballerini – Ci abbiamo messo 64 mesi. Ma è un buon traguardo e un buon punto di partenza».

Purtroppo però la verità processuale – essenziale a prescindere – potrebbe rimanere senza conseguenze per i responsabili dell’assassinio e i suoi mandanti. Al fine di individuare le responsabilità e le circostanze politiche dell’assassinio, è attiva dal 2019 la Commissione parlamentare d’inchiesta i cui atti sono secretati e che riferirà solo a conclusione dei lavori, il 3 ottobre prossimo. Ieri il presidente Palazzotto (LeU) ha sollecitato l’esecutivo che appoggia spiegando che il «passo avanti compiuto» è ora «una sfida che pretende dal Governo un impegno concreto per ottenere dall’Egitto rispetto, verità e giustizia».