C’era molta attesa ieri a Stoccolma per la conferenza stampa del procuratore Krister Petersson sul «caso Olof Palme», il premier svedese ucciso il 28 febbraio 1986.

L’iniziativa era stata annunciata con grande clamore. Si attendevano rivelazioni risolutive su uno degli omicidi politici europei restati insoluti.

Secondo fonti svedesi all’incontro con i giornalisti avvenuto tra gli addetti ai lavori dominava lo scetticismo mentre l’opinione pubblica meno avvertita si sente tranquillizzata dalla versione ufficiale fornita ieri che ha concluso ben 34 anni di indagini e ipotesi.

Gli svedesi hanno fiducia nelle loro istituzioni democratiche ed è probabile che anche stavolta finiranno per confermarla.

SECONDO il procuratore Petersson e la magistratura di Stoccolma, l’assassino di Palme ha finalmente un nome e cognome: si tratterebbe di Stig Engström, morto suicida nel 2000 a sessantasei anni di età.

Quindi, a rendere più nebulosa la conclusione dell’inchiesta, c’è l’impossibilità di formalizzare l’accusa. Di conseguenza, la procedura di archiviazione è certa.

Dalle informazioni fornite ieri mattina, Engström era un grafico che lavorava presso la «Skandia assicurazioni», la cui sede era vicina al luogo dell’attentato a Palme.

Si è appreso inoltre che Engström fu interrogato alcune volte dalla polizia già nel 1986 come testimone dell’omicidio dal momento che aveva assistito all’accaduto.

Di questo presunto assassino di Palme, si sa in più che si collocava politicamente a destra e che odiava il premier per le sue politiche progressiste, soprattutto sul fronte dell’apartheid ancora in vigore in quegli anni in Sudafrica e di un dinamismo internazionale che favoriva Palme come possibile candidato alla segreteria generale dell’Onu (nella conferenza stampa di ieri non si è parlato di possibili piste con proiezioni internazionali, avvalorando così l’idea di un unico esecutore senza mandanti).

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Alcune inchieste giornalistiche negli ultimi anni erano tornate a occuparsi del ruolo di Engström ma nulla lasciava prevedere una svolta tanto clamorosa e conclusiva nelle indagini.

Gli inquirenti si sono limitati a sottolineare che Engström possedeva un revolver simile a quello usato nell’omicidio, era alcolizzato e sapeva usare molto bene le armi da fuoco.

Ai presenti, è sembrato un po’ poco per giustificare le conclusioni ufficiali con tanto di grancassa delle indagini.

LO SCETTICISMO che ha accompagnato la conferenza stampa di Krister Petersson si spiega con il momento scelto per l’annuncio.

La Svezia è ancora sotto shock per le notizie che giungono sul fronte della lotta al Covid 19: nelle ultime ventiquattr’ore ci sono stati più di settanta morti, cifra considerevole per un paese di 9 milioni di abitanti a oltre tre mesi dall’avvio della pandemia.

Tra contagi e morti, la Svezia ha raggiunto in proporzione i picchi più alti in Europa.

La strategia sweden di non lockdown è stata messa sotto accusa a livello internazionale.

Da qui, l’ipotesi malevola che le rivelazioni sul caso Palme servano a rassicurare e a distrarre l’opinione pubblica.

La pensa così ad esempio Leif GW Persson, criminologo, che per decenni si è occupato dell’assassinio di Palme e ha scritto un voluminoso saggio tradotto pure in italiano (In caduta libera come in un sogno, Marsilio editori, 2008).

OLOF PALME fu ucciso venerdì 28 febbraio 1986 in via Sveavägen, una delle arterie principali di Stoccolma.

Il premier e la moglie Lisbet erano usciti da alcuni minuti dal cinema Grand dove avevano visto il film I fratelli Mozart. Il premier non aveva scorta perché aveva ripetuto in più occasioni di sentirsi tranquillo «in un paese tollerante e democratico come la Svezia».

Erano da poco passate le 23. Era una notte fredda e buia, tipica del rigido inverno di Stoccolma.

Mentre i coniugi Palme non avevano deciso se fare a piedi il tratto di strada che conduceva alla loro abitazione o prendere la metropolitana come nel tragitto di andata, un uomo urlò contro il primo ministro. Palme si volse d’istinto. Lo sconosciuto sparò a bruciapelo alcuni colpi di pistola. Uno dei proiettili ferì di striscio la moglie. Per un attimo Palme guardò in faccia il suo assassino, poi si accasciò al suolo.

Secondo le prime ricostruzioni, il killer lasciò indisturbato il luogo del delitto mentre giungevano i primi soccorsi. La meccanica dell’assassinio, almeno all’apparenza, sembrò quella di un agguato premeditato.

DOPO AVER brancolato nel buio, le indagini si indirizzarono di colpo nel 1988 verso Christer Pettersson, nato nel 1947, noto alla polizia per essere un uomo violento, politicamente di destra, alcolizzato e che faceva uso di droghe (quell’identikit di allora ha molte somiglianze con quello di Stig Engström diffuso 24 ore fa).

Il verdetto di un primo processo condannò Pettersson all’ergastolo nel luglio 1989. Un terzo dibattimento si svolse nel 1998 presso la Corte d’appello di Stoccolma, dopo una seconda sentenza di assoluzione, che scagionò Pettersson per insufficienza di prove.

La terza sentenza, secondo le regole della giustizia svedese, non era impugnabile.

L’unico imputato in un processo per l’assassinio di Palme è morto il 29 settembre 2004.