Omicidio Abu Khdeir: condannati due israeliani, un altro si proclama “infermo mentale”
Gerusalemme Proteste della famiglia del ragazzo palestinese arso vivo per vendicare l'uccisione di tre ragazzi ebrei. La madre Suha: «Mio figlio non tornerà più, mentre i due che lo hanno ucciso tra dieci anni saranno fuori».
Gerusalemme Proteste della famiglia del ragazzo palestinese arso vivo per vendicare l'uccisione di tre ragazzi ebrei. La madre Suha: «Mio figlio non tornerà più, mentre i due che lo hanno ucciso tra dieci anni saranno fuori».
Piangeva ieri Suha, la mamma di Mohammed Abu Khdeir. Ai giornalisti ripeteva «Dov’è la giustizia in Israele? Mio figlio non tornerà più, mentre i due che lo hanno ucciso tra dieci anni saranno fuori». Alla famiglia Abu Khdeir non basta la sentenza che ha condannato all’ergastolo e a 21 anni di carcere due dei tre israeliani responsabili di aver arso vivo Mohammed nel giugno 2014. Un assassinio brutale – compiuto per vendicare il sequestro e l’uccisione avvenuta qualche settimana prima di tre ragazzi ebrei da parte di una cellula palestinese – per il quale pagano, per ora, due minorenni ma non l’ispiratore e principale esecutore materiale della crudele ritorsione, Yosef Ben-David, 30 anni. L’uomo sarebbe “infermo mentale” secondo il suo avvocato che sta facendo di tutto per evitargli la prigione. «Faremo appello alla Corte Suprema israeliana», ha preannunciato l’avvocato della famiglia Abu Khdeir, aggiungendo che i suoi assistiti si sono rifiutati di accettare i 35 mila shekel (circa 8 mila euro) di risarcimento. Hussein Abu Khdeir, il padre di Mohammed, ha puntato l’indice contro la destra israeliana e chiesto la demolizione delle abitazioni dei responsabili dell’omicidio del figlio, misura che Israele applica verso i palestinesi responsabili di attacchi e attentati.
Durante il dibattimento è emerso che i due minori hanno picchiato Mohammed Abu Khdeir sotto la direzione di Ben-David. Tutti e tre hanno poi trasportato la vittima nella foresta di Gerusalemme dove uno dei condannati avrebbe protestato contro il complice adulto perché non partecipava attivamente al massacro del giovane palestinese. Ben-David perciò avrebbe preso un piede di porco e colpito il giovane palestinese alla testa. Poi, dopo averlo cosparso di carburante, gli ha dato fuoco. Subito dopo i tre killer si sono diretti a casa di Ben-David nella colonia ebraica di Adam, dove hanno suonato la chitarra e sono andati a letto, evidentemente soddisfatti per la vendetta compiuta. Nei confronti di Ben David la Corte si pronuncerà fra una settimana. I giudici hanno espresso malumore per aver ricevuto la perizia psichiatrica che lo riguarda solo nella fase conclusiva del processo. La famiglia Abu Khdeir è convinta che la presunta infermità mentale di Ben David sia soltanto un pretesto per evitare la pena detentiva.
Gli omicidi di Mohammed Abu Khdeir e dei tre ragazzi ebrei infiammarono l’estate del 2014 a Gerusalemme e nei Territori occupati e furono il preludio dell’offensiva israeliana “Margine Protettivo” contro la Striscia di Gaza costata la vita a 2.200 palestinesi. Ieri però la notizia della condanna degli assassini di Abu Khdeir ha trovato spazio ridotto sui media israeliani impegnati invece a riferire degli sviluppi dell’attacco con armi automatiche compiuto mercoledì a Gerusalemme da tre giovani palestinesi giunti dal villaggio di Qabatiya (Jenin, Cisgiordania) in cui è rimasta uccisa una poliziotta Hadar Cohen (gli attentatori sono stati uccisi subito da altri agenti). Centinaia di persone hanno partecipato iai funerali della poliziotta mentre dal governo giungevano assicurazioni sull’adozione di nuove misure punitive nei confronti dei palestinesi. Nella notte tra mercoledì e giovedì l’esercito ha arrestato almeno10 abitanti di Qabatiya. Nel villaggio poco dopo sono divampati scontri violenti tra soldati e giovani palestinesi, quattro dei quali sono stati feriti. Un ragazzo di 14 anni, Mujahed Zakarneh, è stato travolto da una jeep israeliana ed è stato trasportato in condizioni critiche all’ospedale. Gli accessi per Qabatiya sono stati chiusi dall’esercito e ieri sera il villaggio era ancora circondato da reparti militari.
Intanto una corte israeliana ieri ha sospeso ma non annullato la detenzione amministrativa (senza processo) per il giornalista Mohammed al Qiq, in sciopero della fame da oltre due mesi. In sostanza al Qiq dovrebbe tornare in carcere non appena starà meglio. Il giornalista però non ha alcuna intenzione di terminare il digiuno se la sua detenzione non sarà revocata completamente.
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