Nella giornata internazionale della donna si inaugurerà L’altra faccia della luna, prima retrospettiva di Mirella Bentivoglio in Grecia, presso la galleria Gramma Epsilon e l’Istituto italiano di cultura di Atene, a cura di Paolo Cortese e Davide Mariani. Sono infatti numerose le iniziative nel 2022 per l’anniversario della nascita di Mirella Bentivoglio, che sarà anche celebrata in ottobre da un’antologica alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.

La mostra di Atene presenta opere parietali, libri-oggetto, assemblaggi di natura simbolica di una protagonista indiscussa dei movimenti logoiconici: «Mirella Bentivoglio era la poesia visiva impersonificata», afferma Renata Prunas, artista inclusa in molte rassegne al femminile da lei organizzate, nel video che correda l’attuale esposizione (Le ragazze di Mirella, di Carlo Canè e Andrea Bevilacqua). La galleria ateniese ha già ospitato due appuntamenti tra linguaggio e immagine, con opere di artiste sostenute da Mirella Bentivoglio: ebbene, la Sala Callas dell’Istituto racchiude una piccola antologia di lavori collegati alla sua attività promotrice, perché inseriti in collettive da lei curate.

QUANDO SI CONSIDERA il suo lavoro di artista, non si può prescindere dal versante critico, perché la sua intera attività si è svolta su un piano interdisciplinare che non consente di considerare in modo separato i due ambiti.

I RUOLI DI CRITICA E ARTISTA sono fusi in uno stesso lavoro, sono il suo «uovo indivisibile»: del resto il suo operato si è incentrato sul linguaggio e i commenti apportati alle proprie opere sono imprescindibili dichiarazioni di poetica. Lei stessa si è presentata in cataloghi, e ha curato collettive alle quali ha partecipato come operatrice al pari delle sue colleghe.

È ABBASTANZA sorprendente come la sua personalità, capace di incutere «soggezione» per la naturale predisposizione a distinguersi in un gruppo di persone (come raccontano anche le sue ragazze – Francesca Cataldi, Anna Esposito, Gisella Meo, Franca Sonnino e Renata Prunas – intervistate da Cortese nel video), avesse una ammirazione autentica per l’altrui talento creativo. E che si spendesse in modo tanto generoso per promuoverlo.

LA VALORIZZAZIONE del prodotto estetico femminile è per lei necessaria per colmare un divario col genere maschile, esistente in disparati ambiti dell’esistenza e della cultura. Bentivoglio riteneva che la voce pubblica negata alla donna avesse trovato formulazione in silenziose condizioni creative legate al suo mondo domestico, al linguaggio quotidiano e al maggior contatto conservato con la realtà fisica: aspetti che rendono molto congeniale alla donna quell’area operativa intermedia tra diversi codici di espressione (parola e immagine, corpo e linguaggio, gesto e segno).

Il risanamento di questa disparità restituirebbe alla cultura la sua totalità, quell’unione, o matrimonio, per esprimerci alla maniera della rispondenza alchemica dell’artista, di femminile e maschile, Mater e Logos.

MIRELLA BENTIVOGLIO non ha curato mostre di sole donne. Non riteneva gli esiti creativi delle donne migliori, perché il valore estetico di un’opera non tiene conto del genere di chi la realizza, né riconosceva modelli estetici femminili, perché nell’arte non vi sono modelli estetici. La creatività femminile è stata vagliata alla luce di tematiche sensibili alla sua poetica creativa. Si affidava ai simboli archetipi; e se ha riscontrato delle costanti nelle scelte di molte sue artiste, spesso rintracciabili nell’uso del filo o della tessitura, ci ha ben spiegato come tale filo conduttore, il filo concettuale esibito nell’oggetto stesso, costituisse uno di questi archetipi: l’immagine primordiale della donna che incontra il suo mito, nel gomitolo di Arianna, nella tela di Aracne, nella condanna di Penelope; o nelle Parche che tagliano, filano e tessono l’esistenza.

All’Istituto italiano di cultura i contributi delle artiste, fogli quadrati delle stesse dimensioni, raccolti insieme potrebbero dare vita a un’opera corale, come spesso Mirella Bentivoglio ha saputo fare con il coinvolgimento dell’altro nel proprio lavoro estetico. Tra queste pagine, Francesca Cataldi ottiene fili di asfalto scaldando il materiale con il ferro da stiro; Anna Esposito ne La sventagliata di mitra «volta di segno» un innocuo accessorio femminile, replicando l’onomatopeica «parola-proiettile».

Tomaso Binga propone un frammento di carta da parati ricoperto di segni asemantici coi quali riscrivere, come un «diario illeggibile», lo spazio della domestica reclusione femminile.