Visioni

Omaggio a Giuseppe Sinopoli, la musica come archeologia di un mondo che fu

Omaggio a Giuseppe Sinopoli, la musica  come archeologia di un mondo che fuUn momento della serata inaugurale – Marta Cantarelli

Musica Per il bicentenario dell'Accademia Filarmonica Romana un omaggio al compositore diretto da Fabio Maestri

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 30 ottobre 2021

L’Accademia Filarmonica Romana compie duecento anni e festeggia il bicentenario con un concerto dedicato alla memoria di Giuseppe Sinopoli. Da quando suo direttore fu Alfredo Casella, l’Accademia è sempre stata attenta alla musica di oggi. Ricordo, ancora studente universitario, l’arrivo di Stockhausen al Ridotto dell’Eliseo, nel 1960, io entusiasta, e mie colleghi studenti un po’ meno. E Pollini, anni dopo, che suona la seconda Sonata di Boulez, al Teatro Olimpico, ormai sede dei concerti, la signora accanto a me che esclama, indignata: «Ma come si permette?». Ebbene, per nostra fortuna si permette, e con Pollini tanti altri musicisti.
L’inaugurazione del bicentenario non poteva dunque non aprirsi con un concerto di musica del Novecento, con un omaggio a una figura assai particolare come Giuseppe Sinopoli, veneziano di origini siciliane, romano di adozione, ma di cultura soprattutto tedesca.

UNO STRANIERO in patria, come lo fu il suo amatissimo Gustav Mahler all’inizio del secolo. O meglio: «der Welt abhanden», perduto al mondo, come canta il Lied di Mahler, su poesia di Rückert, che ha concluso il concerto, intensissima interprete Monica Bacelli, che aveva cantato, in apertura, sempre di Mahler, gli struggenti Lieder eines fahrenden Gesellen, Canti di un compagno in viaggio, i cui testi sono scritti dallo stesso Mahler. Raccontano l’ossessione della morte — il giovane compositore sentì morirgli il fratello tra le braccia, e un’adorata figlia morì di scarlattina – l’inadeguatezza alla vita, «ich leb’ allein in meinem Himmel», io vivo solo nel mio cielo, e, in un altro Lied: «Ich wollt’, ich lag’ auf der schwarzen Bahr», vorrei giacere in una nera bara. Questi sentimenti, questa visione del mondo, sono congeniali a Sinopoli: nella sua unica opera teatrale, Lou Salome, nella quale gli echi di Berg si mescolano agli struggimenti di Mahler, fecondati dal nichilismo nietzscheano, si dice: «il mio spirito è instancabile, più conosce / più il mio corpo desidera la sua morte». Il Lied di Lou canta: «Der Tod ist doch das Beste», la morte è dunque il meglio.
Di Sinopoli, il direttore Fabio Maestri, a capo del complesso da camera Incanto, ha fatto ascoltare anche Klangfarben, colori del suono, per cinque archi, del 1977. Qui l’annientamento è una giovanile — Sinopoli ha 21 anni e lavora su una serie dodecafonica di Riccardo Malipiero — e weberniana aspirazione al silenzio. Con gli anni diventa una mahleriana e berghiana inadeguatezza al mondo, una fuga nell’archeologia, nell’antico, il ritorno, per lui agli antenati greci. La morte gli impedì di laurearsi. La laurea gli venne concessa post mortem. Tutto si chiarisce.

ANCHE LA SUA MUSICA è archeologia: scavo e disseppellimento di un mondo scomparso. La musica, per Sinopoli, non è il presente, nel presente è finita, è solo memoria di un passato irrimediabilmente perduto e irrecuperabile. Per questo il compositore si trasformò in direttore, in uno straordinario interprete delle rovine del passato: perché ormai la musica può essere solo interpretata, non più composta. Ed è solo musica di sopravvissuti.
I Lieder mahleriani del «compagno in viaggio» sono stati eseguiti nella trascrizione per orchestra da camera di Schoenberg. I frammenti della Lou Salome adattati per voce e orchestra da camera da Marco Sinopoli, figlio del compositore, cantati con proprietà dal soprano Sabina Cortese. Fabio Maestri ha trascritto per orchestra da camera i Rückert Lieder

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