Oltre l’opprimente varietà della vita
Saggi «A cosa serve l’arte? L’estetica dopo Darwin» di Winfried Menninghaus
Saggi «A cosa serve l’arte? L’estetica dopo Darwin» di Winfried Menninghaus
Nella definizione di «arte» possiamo includere non solo quella con la «A» maiuscola, ma anche tutte le pratiche estetiche quotidiane a cui ci dedichiamo giorno per giorno, come la ricerca della bellezza nell’abbigliamento o nelle abitudini comportamentali. Su tali pratiche estetiche, dall’ottica dell’estetica evoluzionistica, si interroga un recente studio di Winfried Menninghaus, A cosa serve l’arte? L’estetica dopo Darwin, adesso tradotto accuratamente da Massimo Salgaro, il quale firma anche una postfazione dedicata a un’inedita lettura dell’opera di Musil (Edizioni Fiorini, pp. 349, euro 24). L’estetica evoluzionistica, la disciplina che studia la nascita, lo sviluppo e la funzione delle forme artistiche da un’ottica darwiniana, secondo le stesse parole di Menninghaus, «ha il fascino di un outsider che incontra scetticismo sia nelle scienze dell’arte e nell’estetica filosofica che nella psicologia accademica e nella biologia».
Menninghaus, come nota il curatore, si differenzia dagli altri studiosi di questa disciplina innanzitutto per una lettura più accurata e diretta dell’opera di Darwin, poi per il tentativo di allacciare l’estetica evoluzionistica all’estetica filosofica, soprattutto a quella kantiana. Il nuovo saggio dello studioso tedesco nasce da un progetto di ricerca svoltosi alla Freie Universität di Berlino fra il 2007 e il 2012 che ha riunito studiosi di diverse discipline. Infatti, come nota Salgaro nella postfazione, l’estetica evoluzionistica «non può che essere praticata come progetto interamente interdisciplinare, poiché ha l’onere di dimostrare che il nostro senso estetico è frutto di adattamenti biologici».
Come afferma l’autore nell’Introduzione, il suo nuovo saggio intende focalizzarsi soprattutto sulle differenze fra le arti non-umane e quelle umane, andando a colmare un’indagine lasciata alquanto «opaca e incompiuta» dallo stesso Darwin. In base a quali adattamenti umani – si chiede Menninghaus – soprattutto le arti canore, della danza e della presentazione del piumaggio degli uccelli hanno potuto trovare dei corrispettivi nell’uomo, con caratteristiche distintive? L’elaborazione estetica, negli animali, secondo Darwin, assume una forma di autocelebrazione che serve primariamente al corteggiamento dell’altro sesso; negli uomini, i meccanismi di selezione sessuale basati sulla bellezza si uniscono ad altri fattori, come la capacità di utilizzare utensili, il gioco e il linguaggio. L’analisi di Mennighaus si concentra fondamentalmente su tre punti, che rappresentano tre diverse funzioni: concorrenza (l’utilizzo decorativo e «competitivo» delle opere d’arte corrisponde al modello ornitologico darwiniano e quindi alla genealogia sessuale delle arti); cooperazione/coesione (secondo un modello «partecipativo» delle arti umane, esse possono collaborare nella cooperazione e nella coesione di gruppi sociali superando i meccanismi di competizione); formazione personale/pratiche autoreferenziali (il rapporto produttivo e ricettivo con le arti è da intendersi principalmente come formazione personale).
A prima vista, sembrerebbe che nell’Occidente moderno, nella pratica estetica, sia prevalente l’autoreferenzialità (si pensi alle funzioni prospettate dall’industria dell’intrattenimento, come lo svago, il rilassamento, i sogni ad occhi aperti ecc.). Tutte le pratiche di occupazione con se stessi rendono altresì possibili forme «partecipative» come, ad esempio, l’assistere ad un concerto o ad un film. I tre ambiti analizzati possiedono quindi aspetti e caratteristiche che non si escludono a vicenda, ma si intersecano e si combinano fra di loro.
L’homo aestheticus descritto da Menninghaus, capace di combinare innumerevoli percezioni reali e possibili, quindi, come scrive nella postafazione Salgaro – il quale a «Robert Musil teorico della ricezione» ha dedicato un denso studio uscito recentemente per Peter Lang) – molto assomiglia all’Ulrich del musiliano Uomo senza qualità, che tende a non considerare prioritario il mondo reale rispetto a quello possibile, capace di comprendere «l’opprimente varietà della vita».
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