Oltre la logica binaria, la lotta di Les Amazones d’Afrique
Les Amazones d’Afrique – foto di Karen Paulina Biswell
Visioni

Oltre la logica binaria, la lotta di Les Amazones d’Afrique

Note sparse Si intitola «Musow’s Dance» il nuovo album della formazione attiva ormai da un decennio
Pubblicato 4 mesi faEdizione del 29 maggio 2024

«Everyone has flaws/People with flaws carry them everywhere they go», cantano in Mamani Keïta e Fafa Ruffino intrecciando le lingue Bambara ed Ewe con le loro voci incendiarie in Flaws incaricato, assieme a Kuma Fo (What they say), di dare la stura al nuovo disco di Les Amazones d’Afrique, Musow’s Dance, «No matter what, we’re gonna make it / Get up, get up, get up, RISE». L’oralità africana che informa i testi è anche in forma di proverbi. Non si tratta, per questa formazione fluida ormai attiva da un decennio, che ha preso il nome dalle Amazzoni del Dahomey (le fiere e spietate guerriere di cui racconta il film, The Woman King) di indossare i panni delle «musiciste buone» e concilianti con gli ex-colonizzatori, che strizzano l’occhio al mondo occidentale con messaggi positivi per compiacere il pubblico di bianchi dei grandi consessi come il Primavera Sound, Glastonbury etc, ma di prendere dalla tradizione ciò che è buono e schierarsi contro pratiche ancestrali orrende (infibulazione, matrimoni forzati). Il rapporto con la tradizione è peraltro sempre molto complicato, perché tira in ballo la questione dell’autenticità. Che cosa è autentico e cosa non lo è? L’autenticità sono per esempio le acconciature, i costumi di colori sgargianti fatti con i tessuti locali, è parlare gli idiomi locali, il call and response.

Tradizione e contaminazione nella produzione di Liam Farrell

«DALLA COLONIZZAZIONE, alcuni Paesi africani hanno retrocesso in tema di diritti delle donne. Se pensiamo alle Amazzoni del Dahomey, l’unità militare tutta femminile che per 200 anni ha protetto quello che è l’odierno Benin, ci rendiamo conto che erano loro a prendere le decisioni ed il loro esercito ad avere il potere», commenta la congolese Alvie Bitemo, una delle ultime arrivate in ordine di tempo. Non ha tutti i torti chi dice che considerare un esercito di guerriere come un modello di emancipazione, non rende un buon servizio alla causa. Ma considerando il contesto culturale che ostacola il processo di autodeterminazione femminile, l’esempio di donne che rifiutavano di sposarsi e si dichiaravano indipendenti, esercita un potere simbolico non irrilevante. L’idea di una République Amazone contemporanea, dove fossero le donne a comandare e dove i maschi fossero benvenuti, se alleati della lotta femminista, deve essere perciò apparsa una cosa geniale. Non sono separatiste Les Amazones d’Afrique, anzi, hanno persino cospirato con un maschio bianco, mainstream, accasandosi alla Real World, noti complottisti della world music, e debuttando sul palcoscenico del Womad molto prima dell’uscita discografica. Ci ha pensato poi Liam Farrell aka Doctor L – incaricato anche della produzione del secondo album che rincara la dose con Amazone Power, nel 2020 – a svincolarlo da questo marchio, assai problematico per il suo sotteso euro-centrico, traghettando la manipolazione/elaborazione del suono verso una concezione che abbracciasse sì un innesto tradi-moderno ma che fosse potenzialmente più esplicativo del significato insito nel termine contaminazione.

CONCEZIONE assimilabile al percorso dei vari Konono n. 1 o ensemble di questo tipo che si rifacevano ad un suono tradizionale senza restare ingarbugliati nel concetto di autenticità come se questa dovesse coincidere con qualcosa di immutabile. Stavolta il banco passa ad un altro irlandese, Jacknife Lee, un produttore anch’egli legato alle produzioni di massa, che ha portato la sua macchina del ritmo, 808s (quella usata in tutte le produzioni degli U2) con i vari plug- in, per caratterizzare questa danza delle donne con un tocco di retromania.

C’È L’INCANTO di farsi attraversare dalla pluralità delle lingue di Mamani Keita (Mali), Fafa Ruffino (Benin), Alvie Bitemo (Congo), Dobet Gnahorè (Costa d’Avorio), Kandy Guira (Burkina Faso), Nneka (Nigeria) e il candore con cui rigettano l’iconografica stereotipata sulle donne africane, da parte dei media occidentali. Molto più vicine al cosiddetto womanism che al femminismo nero delle Black Panter, le Amazzoni d’Africa sono consapevoli dei propri privilegi e utilizzano la loro posizione in favore di una lotta intersezionale, da combattere assieme, donne e uomini, oltre una logica binaria.

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