ExtraTerrestre

Olmi, l’amico della terra che non mente

Omaggi Ogni domenica, chi ascolta Radio Popolare di Milano, sa che esiste la trasmissione La sacca del diavolo condotta da Giancarlo Nostrini. Nella sigla si sentono delle voci, voci dure, un dialetto stretto, suoni gutturali, sono le voci tratte da un film, rudi voci contadine, dicono qualcosa come la vita l’è dura: il film è L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. La sacca del diavolo propone suoni e musica dal mondo, «musica etnica, musica tradizionale». Quel film vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1978, quarant’anni dopo il maestro ci ha lasciati. Un giorno di maggio. In questi giorni, nel nord Italia, si sono alternate giornate serene e caldo primaverile e grandi temporali, grandinate e afa, pioggia. Instabilità primaverile, luci variabili di una primavera incerta. Cosa ha detto Ermanno Olmi? Quale la sua eredità da raccogliere? Quelle voci, innanzitutto. Voci contadine, come sono veramente, senza infingimenti e infiocchettamenti alla Mulino Bianco. Quelle voci dure e cupe, sono le voci dei contadini di tutto il mondo. Nella sua opera Olmi disincrosta e scarnifica, ripulisce il lerciume interessato delle pastorellerie da quattro soldi che si accumulano sulla pelle del mondo contadino. Ci torna in mente, del suo fare cinema, l’approccio documentarista: non ha mai voluto mentire. La vita è quella che è. Gli umili, che poi sono i cafoni e i «terroni» di ogni parte del mondo, se la passano male. Non possono nemmeno ricavare, intagliando nel tenero legno di un salice, degli zoccoli per il proprio figliolo. Il castigo arriva sempre, come la grandine, come il cattivo tempo. E non si sfugge. In un documentario, Terra Madre, la parte più bella - oltre alla celebrazione di Vandana Shiva e Carlo Petrini - è quel film nel film dedicato ad un anonimo contadino, tutte le stagioni, i quarant’anni della sua vita, le mani che sanno, le mani che conoscono. Quel contadino, il tempo che cambia, l’inverno che precede la primavera, l’estate che segue. Le mani che sanno intrecciare vincastri di salice per legare una vite. Le mani forti e sapienti che sanno vangare. Le mani rese sapienti dalla necessità. La pioggia, il sole. La casa colonica senza telefono. I setacci, l’imbuto, gli attrezzi agricoli. In una scena, commovente, le mani di quell’uomo scelgono (selezionano è termine offensivo) i semi di zucca. Quei semi, grossi, sola speranza di sopravvivenza. E quelle mani ricordano le mani di ogni contadino del mondo. C’è un bellissimo film a disegni animati che si accosta a questo, e lo precede. Penso a L’uomo che piantava gli alberi, il cortometraggio animato tratto dal romanzo di Jean Giono, di Frèdèric Back, vincitore di un Oscar per la sua sezione nel 1988: penso alla lentezza della narrazione, quelle mani sono le stesse. Sono le mani di chi carezza semi, non conoscono fretta. Da 25 anni, da quando insegno, trovo il modo di mostrare ai miei alunni questo film delicato e solenne. Qualche giorno fa, mentre andavo a scuola, mi venivano in mente dei versi. Il contadino vive ogni stagione come una vita. Egli vive la stagione del fiordaliso, la stagione della camomilla, del papavero e la stagione del grano. Se un contadino vive ottant’anni, egli ha conosciuto pressoché l’immortalità. Se suo figlio raccoglie quei semi e continua, quel contadino non muore mai. Le ghiande delle querce nelle mani di Elzeard Bouffier , i semi di zucca nelle mani del contadino di Olmi in Terra madre, sono le mani dei contadini del mondo. Dalla semina al raccolto ci passa un’eternità. Una siccità, nel film di Olmi, rovina il raccolto di quel contadino che si industria per sopravvivere con le scorte degli anni precedenti, disdegna l’aiuto dei parenti. Sa che ce la deve fare. Un contadino trentino, i suoni delle stagioni che mutano. Gli uccellini che banchettano su resti di una zucca che lui ha lasciato fuori apposta per loro. Il fiume. Le vigne, l’andare lento con la vanga. Ermanno Olmi dedica al tempo normale queste immagini. Nel suo ultimo film, Torneranno i parti, girato dove ha voluto trascorrere gli ultimi anni della sua vita, si vede un albero, si vede quest’albero nelle diverse stagioni. Perde le foglie, si riveste. Fiorisce a primavera. Nel vortice della guerra di trincea, quell’albero è lì, a ricordarci che oltre all’odio, al fanatismo, all’insensatezza della politica degli uomini, c’è la natura. Madre natura, che non cambia e che veglia. Torneranno i parti, sì, torneranno. Ci sono persone che nella loro arte hanno mostrato al mondo di aver compreso. Olmi è vissuto adesso, in questi nostri anni dove la terra è intossicata, dove certi semi non sono nemmeno più riproducibili. A strappare al contadino quella certezza di potersi perpetuare, procurando, come da diciottomila anni, il cibo ai suoi figli. Io non l’ho conosciuto e me ne duole. Tante persone lo hanno conosciuto. In particolare, tra i miei amici salvatori di semi, Tiziano Fantinel. Voglio ricordarlo per raccontare. Il 2 giugno del 2014, Tiziano era ad Asiago, ospite con esponenti di Slow Food al Festival delle erbe di montagna. Ebbene, in quella occasione, Ermanno Olmi criticò aspramente quella baracconata chiamata «Expo-Energie per la vita. Nutrire il pianeta». Ero impegnato nel movimento No Expo, ho cercato invano di rintracciare Olmi, era importante per noi rappresentanti di un mondo contadino che non c’entra nulla con le multinazionali presenti all’Expo 2015, Monsanto, DuPont, Coca Cola… Ermanno Olmi adesso non c’è più ma nel suo mondo le parole di un uomo come lui contano: quel giorno si pentì di aver fatto da ambassador ad Expo. Le persone che c’erano possono testimoniarlo. Guardo il mio salice, qui, nel mio podere. Penso a quel bambino nel film, a quegli zoccoli. Aver punito quella famiglia per quel taglio, necessario, quando un salice, lo so bene - lo abbiamo abbattuto questo inverno - cresce velocemente, davvero, non ci vuole nulla, i salici crescono a vista d’occhio, è stata una crudeltà inutile. Per ricordare il maestro, vogliamo ricordare i suoi film che hanno cantato nella sua durezza il mondo contadino, vogliamo ricordare le sue parole. E vi invitiamo a farlo piantando un salice, mille salici, necessari e leggeri.

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 maggio 2018

Ogni domenica, chi ascolta Radio Popolare di Milano, sa che esiste la trasmissione La sacca del diavolo condotta da Giancarlo Nostrini. Nella sigla si sentono delle voci, voci dure, un dialetto stretto, suoni gutturali, sono le voci tratte da un film, rudi voci contadine, dicono qualcosa come la vita l’è dura: il film è L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. La sacca del diavolo propone suoni e musica dal mondo, «musica etnica, musica tradizionale». Quel film vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1978, quarant’anni dopo il maestro ci ha lasciati. Un giorno di maggio.

In questi giorni, nel nord Italia, si sono alternate giornate serene e caldo primaverile e grandi temporali, grandinate e afa, pioggia. Instabilità primaverile, luci variabili di una primavera incerta.

Cosa ha detto Ermanno Olmi? Quale la sua eredità da raccogliere?

Quelle voci, innanzitutto. Voci contadine, come sono veramente, senza infingimenti e infiocchettamenti alla Mulino Bianco. Quelle voci dure e cupe, sono le voci dei contadini di tutto il mondo. Nella sua opera Olmi disincrosta e scarnifica, ripulisce il lerciume interessato delle pastorellerie da quattro soldi che si accumulano sulla pelle del mondo contadino. Ci torna in mente, del suo fare cinema, l’approccio documentarista: non ha mai voluto mentire. La vita è quella che è. Gli umili, che poi sono i cafoni e i «terroni» di ogni parte del mondo, se la passano male. Non possono nemmeno ricavare, intagliando nel tenero legno di un salice, degli zoccoli per il proprio figliolo. Il castigo arriva sempre, come la grandine, come il cattivo tempo. E non si sfugge. In un documentario, Terra Madre, la parte più bella – oltre alla celebrazione di Vandana Shiva e Carlo Petrini – è quel film nel film dedicato ad un anonimo contadino, tutte le stagioni, i quarant’anni della sua vita, le mani che sanno, le mani che conoscono. Quel contadino, il tempo che cambia, l’inverno che precede la primavera, l’estate che segue. Le mani che sanno intrecciare vincastri di salice per legare una vite. Le mani forti e sapienti che sanno vangare. Le mani rese sapienti dalla necessità. La pioggia, il sole. La casa colonica senza telefono. I setacci, l’imbuto, gli attrezzi agricoli. In una scena, commovente, le mani di quell’uomo scelgono (selezionano è termine offensivo) i semi di zucca. Quei semi, grossi, sola speranza di sopravvivenza.

E quelle mani ricordano le mani di ogni contadino del mondo. C’è un bellissimo film a disegni animati che si accosta a questo, e lo precede. Penso a L’uomo che piantava gli alberi, il cortometraggio animato tratto dal romanzo di Jean Giono, di Frèdèric Back, vincitore di un Oscar per la sua sezione nel 1988: penso alla lentezza della narrazione, quelle mani sono le stesse. Sono le mani di chi carezza semi, non conoscono fretta. Da 25 anni, da quando insegno, trovo il modo di mostrare ai miei alunni questo film delicato e solenne. Qualche giorno fa, mentre andavo a scuola, mi venivano in mente dei versi. Il contadino vive ogni stagione come una vita. Egli vive la stagione del fiordaliso, la stagione della camomilla, del papavero e la stagione del grano. Se un contadino vive ottant’anni, egli ha conosciuto pressoché l’immortalità. Se suo figlio raccoglie quei semi e continua, quel contadino non muore mai. Le ghiande delle querce nelle mani di Elzeard Bouffier , i semi di zucca nelle mani del contadino di Olmi in Terra madre, sono le mani dei contadini del mondo. Dalla semina al raccolto ci passa un’eternità. Una siccità, nel film di Olmi, rovina il raccolto di quel contadino che si industria per sopravvivere con le scorte degli anni precedenti, disdegna l’aiuto dei parenti. Sa che ce la deve fare. Un contadino trentino, i suoni delle stagioni che mutano. Gli uccellini che banchettano su resti di una zucca che lui ha lasciato fuori apposta per loro. Il fiume. Le vigne, l’andare lento con la vanga.

Ermanno Olmi dedica al tempo normale queste immagini. Nel suo ultimo film, Torneranno i parti, girato dove ha voluto trascorrere gli ultimi anni della sua vita, si vede un albero, si vede quest’albero nelle diverse stagioni. Perde le foglie, si riveste. Fiorisce a primavera. Nel vortice della guerra di trincea, quell’albero è lì, a ricordarci che oltre all’odio, al fanatismo, all’insensatezza della politica degli uomini, c’è la natura. Madre natura, che non cambia e che veglia. Torneranno i parti, sì, torneranno. Ci sono persone che nella loro arte hanno mostrato al mondo di aver compreso. Olmi è vissuto adesso, in questi nostri anni dove la terra è intossicata, dove certi semi non sono nemmeno più riproducibili. A strappare al contadino quella certezza di potersi perpetuare, procurando, come da diciottomila anni, il cibo ai suoi figli.

Io non l’ho conosciuto e me ne duole. Tante persone lo hanno conosciuto. In particolare, tra i miei amici salvatori di semi, Tiziano Fantinel. Voglio ricordarlo per raccontare. Il 2 giugno del 2014, Tiziano era ad Asiago, ospite con esponenti di Slow Food al Festival delle erbe di montagna. Ebbene, in quella occasione, Ermanno Olmi criticò aspramente quella baracconata chiamata «Expo-Energie per la vita. Nutrire il pianeta». Ero impegnato nel movimento No Expo, ho cercato invano di rintracciare Olmi, era importante per noi rappresentanti di un mondo contadino che non c’entra nulla con le multinazionali presenti all’Expo 2015, Monsanto, DuPont, Coca Cola… Ermanno Olmi adesso non c’è più ma nel suo mondo le parole di un uomo come lui contano: quel giorno si pentì di aver fatto da ambassador ad Expo. Le persone che c’erano possono testimoniarlo.

Guardo il mio salice, qui, nel mio podere. Penso a quel bambino nel film, a quegli zoccoli. Aver punito quella famiglia per quel taglio, necessario, quando un salice, lo so bene – lo abbiamo abbattuto questo inverno – cresce velocemente, davvero, non ci vuole nulla, i salici crescono a vista d’occhio, è stata una crudeltà inutile.

Per ricordare il maestro, vogliamo ricordare i suoi film che hanno cantato nella sua durezza il mondo contadino, vogliamo ricordare le sue parole. E vi invitiamo a farlo piantando un salice, mille salici, necessari e leggeri.

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