Cultura

Olivier Roy e il fantasma della fede alla corte dei populisti

Olivier Roy e il fantasma della fede alla corte dei populistiInstallazione dell’artista Pedro Marzorati a Saint Merry

Intervista Parla il politologo francese ospite domani pomeriggio a Sassuolo del Festivalfilosofia. In «L’Europa è ancora cristiana», che esce oggi per Feltrinelli, l’uso politico della religione in Occidente. «Chi costruisce la propria propaganda sull’esclusione e il rifiuto dell’"altro" non ha nulla a che fare con il cristianesimo che ha un messaggio universalista»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 12 settembre 2019

Politologo di fama internazionale, tra i maggiori studiosi dell’islam «globale» e del suo rapporto con la cultura e le società occidentali, Olivier Roy indaga nella sua opera più recente – L’Europa è ancora cristiana? (Feltrinelli, pp. 158, euro 17,00, traduzione di Michele Zurlo) – un tema da tempo al centro del dibattito nel nostro Paese come nel resto d’Europa, vale a dire cosa resta delle radici cristiane del Vecchio Continente e cosa rappresenta il costante appello a tale identità che alimenta soprattutto le retoriche delle nuove destre e delle forze populiste. Un testo, da oggi in libreria e che lo studioso presenterà domani a Sassuolo nell’ambito del Festivalfilosofia (piazza Garibaldi, ore 16,30) che prosegue il lavoro di scavo già intrapreso, tra gli altri suoi titoli, con Global Muslim e La santa ignoranza. Religioni senza cultura, entrambi pubblicati da Feltrinelli.

Alcune delle immagini della recente crisi politica italiana evocano uno dei temi alla base del suo nuovo libro: per tutta l’estate Matteo Salvini non ha smesso di esibire il rosario, baciare il crocifisso, invocare la protezione della Vergine. Eppure, a suo giudizio, proprio questa destra che parla di «identità cristiana» non fa altro che accelerare i processi di secolarizzazione già in atto da tempo.
Senza dubbio. I populisti di destra alla Salvini cercano di appropriarsi dei simboli esteriori della fede, ma non hanno nulla a che fare con i valori reali di questa stessa fede. Così, ad esempio, costruiscono gran parte delle loro retoriche sull’esclusione e il rifiuto dell’«altro», certo non un caposaldo della cristianità, la quale ha invece un messaggio esplicitamente universalista. Ma c’è di più. Questo tentativo di svuotare in qualche modo la religione cristiana del proprio spirito per trasformarla in un «marchio identitario» non fa che contribuire alla separazione tra fede e cultura che spinge la pratica religiosa ai margini delle nostre società. Inoltre, e penso al divieto dell’«ostentazione» di tutti i simboli religiosi deciso in Francia in seguito al lungo dibattito sul cosiddetto «velo islamico», o alla presunta valorizzazione di quelli cristiani, come l’esposizione del crocefisso negli edifici pubblici in Italia o in Baviera, tutto ciò finisce per cancellarli tout court dallo spazio pubblico o trasformarli in una forma di particolarismo locale e non più nel segno di appartenenza ad una comunità universale di fede. Perciò, volendo utilizzare come «marcatori culturali» i simboli della cristianità, in realtà al solo scopo di escludere i musulmani e indicarli come una minaccia, i populisti di destra finiscono nei fatti per favorire la secolarizzazione.

Il politologo francese Olivier Roy

Fare costante riferimento ai simboli e al tema dell’identità, come delle «radici» cristiane dell’Europa serve in realtà soprattutto a definire come nemici i musulmani, presenti in tutte le società europee?
L’idea di brandire in questo modo il tema dell’«identità cristiana» senza alcun legame con i valori cristiani ha in realtà una sola spiegazione, vale a dire la volontà di rigettare l’islam. Prima l’islam dell’«interno» che ha cominciato ad emergere dagli anni Ottanta con l’affaire del «velo» in Francia, quando gli immigrati sono divenuti nel senso comune tutti musulmani. In seguito, l’islam dell’«esterno», come ha evidenziato il dibattito sul possibile ingresso della Turchia nella Ue che si è aperto già alla fine degli anni Ottanta: malgrado quel paese non avesse alcuna chance reale di entrare nell’Europa politica, i toni che sono emersi in quella stagione hanno evidenziato la forza dei pregiudizi e dei fantasmi che accompagnano il confronto con l’islam.

Ma se il riferimento alle radici dell’Europa è utilizzato come argomento polemico, soprattutto verso gli immigrati musulmani, viene da chiedersi, come del resto fa il suo libro fin dal titolo , cosa resti davvero dell’identità culturale e religiosa del Vecchio Continente.
Possiamo dire che l’Europa è stata certamente cristiana, che tutto ciò ha lasciato delle tracce evidenti, ma che non è più destinata ad esserlo in futuro. Coloro che si dichiarano praticanti non superano il 5/10% della popolazione, con l’eccezione della Polonia. Contemporaneamente la Chiesa attraversa una profonda crisi morale, di cui gli scandali legati alla pedofilia e alla corruzione sono i segni più visibili. e ha perciò perso la sua legittimità ad incarnare un magistero spirituale. In tutti i casi, la secolarizzazione ha vinto. Da un lato, nei paesi cattolici si assiste alla rottura degli ultimi legami esistenti tra la Chiesa e lo Stato. Dall’altro, la sfera religiosa si secolarizza da sé tentando di «translater», secondo l’espressione di Jürgen Habermas, (di tradursi) in termini laici per adeguarsi alla modernità. In questa prospettiva, come detto, l’appello identitario proposto dai populisti finisce per apparire come lo stadio supremo della secolarizzazione. Quanto a sapere se il cristianesimo rappresenta solo qualcosa di relativo alla memoria dell’Europa o ha ancora qualcosa da dire sul senso della vita collettiva, riguarda in primo luogo la responsabilità dei cristiani e il loro agire in futuro.

Da questo punto di vista, la realtà europea sembra però essere molto diversa da quella degli Stati Uniti?
In effetti, la prima, sostanziale differenza è rappresentata dal fatto che tra gli americani esiste una sorta di zoccolo duro di persone che si dichiarano esplicitamente fedeli, all’incirca il 30% della popolazione, e che è costituto per lo più dagli evangelici. Questo gruppo ha conosciuto una progressiva radicalizzazione verso posizioni che si possono definire come fondamentaliste. Fino agli anni Sessanta una parte considerevole del mondo evangelico era schierato su posizioni molto più liberali rispetto al cattolicesimo locale. Ma, da lì in poi si è assistito allo sviluppo di quella che va sotto il nome di «destra religiosa», una tendenza che ha conosciuto un ruolo crescente sulla scena politica, impegnandosi contro le leggi in favore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, contro la legislazione sull’aborto e a favore della libera circolazione, come della vendita delle armi. Inoltre, hanno spesso fatto causa comune con i difensori della «comunità bianca». Così, la fede ha finito per legarsi alla destra politica, costituendo una solida base elettorale per i settori più conservatori del Partito repubblicano. Allo stesso modo però, gli evangelici hanno imposto ai politici la loro agenda e i loro temi, risultando determinanti nell’elezione di Reagan, Bush e dello stesso Trump.

A questo proposito, all’indomani dell’11 settembre come possiamo misurare il lascito di odio che dopo l’attacco alle Twin Towers ha visto diffondersi a livello globale l’idea di un conflitto permanente tra il fondamentalismo islamico e i presunti difensori dell’Occidente cristiano?
Purtroppo resta ancora questa sorta di rumore di fondo che evoca uno scontro permanente tra islam e Occidente. E non solo presso i populisti e la destra che fanno di questo tema il cuore della propria retorica aggressiva. Credo che in Europa si possa ad esempio parlare anche di un’islamofobia di sinistra che dice di parlare in nome dei diritti delle donne musulmane ma che talvolta veicola su questi temi molti luoghi comuni. In ogni caso non si può certo dire che i progressisti europei siano in maggioranza sostenitori del multiculturalismo. Ma, per tornare all’eredità dell’11 settembre, credo vada sottolineato come ci troviamo ancora oggi in presenza di un discorso pubblico che si basa solo sull’immagine fantasmatica dell’«altro». Da ciò emerge la visione di un islam nel quale si considera che religione e cultura si fondano e, dall’altro, quella di un Occidente presentato come «cristiano» ma che, per quanto abbiamo detto fin qui, in realtà è laico. Il mondo viene rappresentato come se religione e cultura fossero un tutt’uno, quando invece sappiamo che l’Europa, e in misura minore gli Stati Uniti, esprimono sempre più delle società secolarizzate e che anche nei paesi musulmani, o nell’emigrazione musulmana, emerge una medesima rottura tra la fede e la cultura, come indica bene l’esempio del salafismo. In questo senso, buona parte del dibattito intellettuale di questo lungo post-11 settembre sembra basarsi su delle illusioni se non su degli autentici fantasmi.

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