Da quando sono state assegnate le Olimpiadi invernali 2026 a Milano-Cortina, la pista da bob che si intende realizzare nella conca ampezzana è diventata per associazioni civiche e organizzazioni ambientaliste il simbolo di lavori fuori tempo e fuori luogo, nell’accezione più aderente al significato letterale del termine. L’ultima protesta è andata in scena nello scorso fine settimana, quando una cinquantina di manifestanti di Italia Nostra si sono legati ad alcuni dei 500 larici che dovranno essere abbattuti per fare spazio all’impianto.

MA PERCHÉ LA PISTA da bob ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica più di molte altre opere previste per le Olimpiadi che si terranno nel 2026? La realizzazione delle infrastrutture è in ritardo su diversi fronti, a cominciare dal palazzetto del ghiaccio di Milano Santa Giulia, passando per alcune varianti stradali in Veneto, fino ad arrivare al villaggio degli atleti di Cortina. La pista da bob aggiunge però una criticità importante: a Giochi finiti, sarà impossibile convertirla ad altro utilizzo e sarà sfruttabile solo dai praticanti delle discipline di bob e skeleton. Sul territorio nazionale si parla di circa una trentina di atleti, e nella vicina Innsbruck (160 chilometri in auto da Cortina) esiste già un impianto che funziona perfettamente dal 1976. Sarebbe più comodo avere a disposizione una struttura sul territorio nazionale?

L’esperienza di Torino 2006 dice di no, perché la stessa pista di Cesana (realizzata con una spesa di 110 milioni di euro) è stata abbandonata al suo destino poco dopo i Giochi, per via di costi di gestione insostenibili, soprattutto se è la comunità locale – in particolare l’amministrazione comunale – a doverli sostenere.

Anche ipotizzando che il movimento nazionale possa moltiplicare i propri appassionati proprio a partire dalla disponibilità di una infrastruttura, e non da politiche sportive, i costi di costruzione della nuova pista di Cortina saranno esorbitanti: 124 milioni di euro, una cifra di molto superiore ai 41 preventivati inizialmente e già lievitati a 85. Ma soprattutto, al momento i costi sono stati coperti per circa la metà: 61 milioni li metterà la fondazione Milano-Cortina 2026, più un milione tra Regione e Comune.

NEL FRATTEMPO SOMICO, la società creata per realizzare le opere infrastrutturali, ha realizzato uno studio volto a delineare la sostenibilità economica del progetto. Nell’ipotesi di conto economico che sintetizza il rapporto costi/ricavi, a parte il primo anno in perdita, tutti gli altri esercizi sono in attivo; ma nel conto sono stati riportati erroneamente per due volte i ricavi dell’attività di taxi bob. Quindi, al netto degli errori, le perdite del primo anno sono di 560mila euro, per poi ridursi a 486mila nel secondo, 400mila nel terzo, 316mila nel quarto e quinto, fino a un più 5mila euro nel sesto anno. I conti sono sostanzialmente sempre in perdita, pur considerando una attività a scopo ludico-ricreativo molto intensa e sempre crescente. Vengono stimate infatti fino a 7mila corse di taxi bob all’anno, anche se questo tipo di discese non sono alla portata di ogni turista. Facendo il raffronto con Innsbruck, in Austria si tengono un migliaio di corse l’anno. Per fare “funzionare” l’iniziativa al di qua del confine – secondo le stime sopra indicate- bisognerebbe avere a disposizione un mercato di clienti facoltosi (capaci di spendere tra i 70 e 100 euro a discesa) nonché adrenalinici (si tratta di una esperienza piuttosto provante), in una quantità davvero considerevole, se pensiamo che il rapporto rispetto all’attività della vicina cittadina austriaca sarebbe di 7 a 1.

TRALASCIANDO PER UN ATTIMO le considerazioni sulla sostenibilità economica dell’impresa, anche solamente quella ambientale lascia perplessi: 694mila euro l’anno di spese per la refrigerazione dell’impianto non sono costi ridicoli, a cui si aggiunge l’impatto della deforestazione: secondo le stime del Club Alpino Italiano, per il funzionamento dell’impianto sarebbe necessario un prelievo idrico di 3mila metri cubi d’acqua e andrebbero sacrificati 25mila metri quadri di lariceto secolare; alberi che dovranno essere abbattuti per fare spazio al tracciato.

Venendo allo stato attuale delle cose, la vecchia pista Eugenio Monti è già stata smantellata, al costo di 2milioni e 200mila euro, lasciando spazio a molti interrogativi. Due non sono trascurabili: chi realizzerà l’opera e in che tempi? Il bando per la realizzazione dell’impianto infatti è andato deserto (c’è chi sostiene per le elevate penali in caso di mancata consegna nei tempi previsti) e si è passati all’aggiudicazione per trattativa privata, di cui si attende l’esito. Da più fonti di stampa emerge il nome di Webuild come azienda indiziata numero uno per la realizzazione: l’ex Salini-Impregilo a sua volta subappalterebbe singole lavorazioni all’interno del cantiere. L’inizio dei lavori è stato fissato per ottobre/novembre, ma è curioso che i tempi inizialmente previsti per l’opera – 40 mesi – non siano più considerati indicativi, e che si possa pensare di fare in un anno (la pista dovrà essere pronta entro novembre 2025) quello che precedentemente si sarebbe potuto fare in tre.

ALLA LUCE di queste premesse, l’opinione pubblica insiste nel porre una legittima domanda: è davvero necessario costruire questa pista? Il Comitato Olimpico Internazionale risponde no: in una lettera alla Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi, ha sottolineato come non sia un’esigenza del Cio quella di avere un impianto nuovo, e che anzi il comitato è aderente in prima istanza ai valori della sostenibilità. Nel testo si ricorda anche che «è stato il comitato promotore di Milano-Cortina 2026 a evidenziare che la pista da bob si sarebbe fatta comunque, con l’obiettivo di sviluppare un’offerta sportiva e turistica. E che solo di fronte a tale dichiarazione, precedente e disgiunta dall’iniziativa olimpica, il Cio ha dato il proprio via libera». Insomma, si torna all’ineluttabile taxi bob, panacea di tutti i mali.

Quali sono le alternative alla realizzazione della pista? Spostare le gare a Innsbruck non sarebbe un problema per il Cio, che non vincola la manifestazione al rispetto del territorio nazionale. E la possibilità non sembra essere mal vista da Innsbruck, che al costo di 27 milioni si accollerebbe l’onore e l’onere dell’adeguamento della propria pista, chiedendo all’Italia un contributo di “soli” 15 milioni. Lo stesso Georg Willi, sindaco della città tirolese, ha annunciato l’invio di una lettera all’ad della fondazione per concretizzare la proposta. Ma la risposta negativa è stata più celere della stessa missiva, per voce di Luigi Valerio Sant’Andrea, commissario di governo e ad di Somico. «Attualmente è in corso la procedura per l’affidamento dei lavori che si completerà entro la fine del mese di settembre», si legge nella nota rilasciata.
INSOMMA, la proposta di una soluzione a basso impatto economico e di salvaguardia ambientale non sembra avere prodotto altro che un’accelerazione nella corsa alla probabile realizzazione di un’opera mastodontica, onerosa e dal pesante costo per la natura e la comunità che la dovrà ospitare.