Okiees e Pippo Delbono, come un lungo viaggio
Musica L'album del collettivo catanese insieme all'attore, «Rageen Vol. 1», il coraggio dell’indipendenza in un progetto folk, poetico, transmediale
Musica L'album del collettivo catanese insieme all'attore, «Rageen Vol. 1», il coraggio dell’indipendenza in un progetto folk, poetico, transmediale
È ancora possibile creare al di fuori da tendenze, ragionamenti produttivi, opportunismi, rifuggendo le forme consolidate, anche quelle «alternative»? Sembra rispondere sì il disco degli Okiees, collettivo catanese composto da Andrea Rabbito (voce, chitarra), Adriano Murania (violino), Gian Marco Castro (tastiere, elettronica), Mauro Melis (grafica), che si è avvalso della speciale collaborazione dell’attore e regista Pippo Delbono per questo primo disco, Rageen vol. 1.
UN PROGETTO ambizioso e estremamente sincero allo stesso tempo, concepito in diversi formati: è un disco suonato, cantato e recitato, ma anche un libro illustrato e un film. Si svilupperà per altri due capitoli, Rageen, la cui poetica è incentrata su due figure di finzione che si rispecchiano l’una nell’altra, gli amici-nemici Roger Benjamin e Benjamin Rye, colti nell’atto di intraprendere una fuga insieme. I riferimenti convocati all’inizio del libro sono Paul Valéry, John Steinbeck, Joseph Conrad e Umberto Curi, parole che si giustappongono a quelle cantate o recitate che dipingono un’antologia del perdersi e della deriva, in cui il folk di ispirazione statunitense – con i testi in un inglese «storto» – è la risposta musicale più naturale. Come un hobo che viaggia per grandi spazi con solo la sua chitarra, o come i beatnik di On the Road, gli Okiees hanno in mente quell’idea di libertà legata al movimento incessante e alla scoperta epifanica della natura. Un atteggiamento che si scontra naturalmente con limiti imposti, avversità, e una «dura» realtà. Ecco allora che Rageen diventa un lavoro «sulla figura dell’hostis, dello xenos, nelle sue principali declinazioni – il migrante, il diverso, il disagiato, il reietto, il disturbato psichico, il ribelle senza causa». Figure che, come ombre, vagano nelle parole recitate da Delbono, descritto come «padre spirituale» del progetto: «È stato proprio l’artista a venire a vivere per diversi mesi a Catania, a partire da quel duro, complesso e irreale periodo di lockdown».
Una collaborazione che nasce quindi da una prossimità, e non può che essere così per Delbono, artista che ancora una volta si mostra nella sua vulnerabilità, dove il pathos e il dono di sé e di quella voragine è messo davanti a tutto il resto. Lo vediamo leggere nel film che accompagna il disco, insieme a immagini di diverso tipo: riprese di interni e di esterni, passaggi di vecchi cartoni animati, animali, albe e giostre… tanti aspetti della realtà che gli Okiees giustappongono, come in un grande filmino che racconta un viaggio, quello della vita. Correndo il rischio di essere un po’ naïf, ciò che emerge in Rageen è in ultima analisi il coraggio di un progetto dallo spirito realmente indipendente, in cui l’etichetta Kappabit ha creduto. Fuori da ogni forma prestabilita, lontano da ogni levigatura e semplificazione buona per la musica-merce.
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