Internazionale

Ogni giornalista ha bisogno di un hacker

Ogni giornalista ha bisogno di un hackerHacks/Hackers London – Maria Djaleva

Giornalismo La conferenza Hacks/Hackers mette in contatto giornalisti e sviluppatori di software, per creare l'alchimia perfetta che innoverà il modo di raccontare

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 11 aprile 2014

Ogni giornalista ha bisogno di un hacker, ogni hacker ha bisogno di un giornalista. Con questo motto si apre il capitolo londinese della conferenza internazionale Hacks/Hackers, che dal 2009 cerca di mettere in comunicazione la sfera del giornalismo e quella della tecnologia, con lo scopo di rivoluzionare l’informazione e favorire la nascita di progetti innovativi.

Il 26 marzo 2014 presso la Wayra Academy, sede dell’acceleratore di innovazione creato da Telefonica nel Regno Unito, si è tenuto l’ultimo incontro di Hacks/Hackers London. 250 tra giornalisti e professionisti della tecnologia si sono incontrati per condividere idee e ambizioni, nonché ascoltare le parole di Peter Jukes – il non-giornalista che continua ad attirare attenzioni dopo il live tweeting del processo che ha coinvolto News of the World nel 2011 – e Al Brownhead of video per VICE UK, una testata giornalistica che in pochi anni ha saputo costruire un nuovo modello di business sul giornalismo senza regole.

Peter Jukes

L’Italia è lontana. Anni luce. E’ l’unico pensiero – sconfortante – al termine di tre ore di dibattito, ascolto e condivisione con le persone che hanno raccolto l’invito di marzo a Londra. Siamo lontani da un modo di intendere il giornalismo e l’informazione, dal raccontare le storie di tutto il mondo con la libertà e la freschezza di chi sente di avere oggi la possibilità di auto-prodursi amplificando il racconto grazie ai media digitali. Ti senti orfano della passione con cui gli sviluppatori descrivono un metodo agile per realizzare il prototipo di un servizio online in grado di competere con i marchi più blasonati dell’industria dell’informazione, raggiungendo un pubblico enorme che tutt’ora cerca risposte al più umano dei desideri, conoscere.

Con incredula circospezione, cerco di comprendere la platea; stappando una birra mi inserisco nella conversazione tra quattro persone con evidenti caratteristiche da nerd e pongo una domanda diretta: “Come riuscite a riconoscere gli aspetti chiave degli articoli che analizzate giornalmente?”. Non avendo la benché minima idea di chi fossero le persone che avevo davanti, suonava comunque come una richiesta sensata. Le dettagliate spiegazioni, più che dalla reale qualità della richiesta, sono scaturite da uno spontaneo desiderio di condividere la passione nel sentirsi parte di un mondo in accelerazione verso il cambiamento. Un’adrenalina motivante che spinge la ricerca verso nuove opportunità di crescita professionale, sociale e tecnologica, con la malcelata convinzione di fare qualcosa in grado di migliorare il benessere dalla collettività che ne fruisce.

Il responsabile di prodotto di Factiva, riassume il suo ruolo di leader nel team che si occupa di creare la tecnologia necessaria ad estrarre significato e riassunti utili dal contenuto giornalistico proveniente dalle maggiori fonti di informazione mondiali. I sistemi di Factiva vengono a capo della produzione quotidiana di articoli provenienti da 200 Paesi in 28 lingue, e archiviano per la ricerca e l’estrazione più di 35 anni di storia mondiale.

L’attività non è evidentemente priva di scopi commerciali. Dow Jones, la multinazionale proprietaria del prodotto, ha infatti centinaia di contratti in essere con i maggiori marchi a livello mondiale, ed è in grado di tenerli informati su tutto ciò che succede nel mondo e li può in qualche modo riguardare, anche se solamente nel tono con cui la notizia viene raccontata nei diversi paesi.

Motivazione commerciale a parte, buona parte di queste iniziative presentano molti risvolti che permetterebbero alla collettività di ricevere un reale beneficio. La tecnologia creata per far funzionare l’immensa base dati è infatti a disposizione di chiunque tramite una licenza di tipo GNU – gratis e riutilizzabile senza scopi di lucro. Chiunque, opportunamente supportato da un’idea e una comunità di hacker, potrebbe decidere di sfruttare questi algoritmi per creare un servizio in grado di rispondere ad un’esigenza diversa, creando così valore e nuove professionalità, alzando il livello del confronto sul valore del giornalismo e della tecnologia per le persone.

Al Brown - head of video di VICE UK

E’ la sensazione che forse tutto questo nel nostro paese non succederà mai che ti costringe a cercare con urgenza un’altra bottiglia di birra. Questa volta ascoltando le parole di Al Brown, mentre ricordi il litigio di Shane Smith – fondatore di VICE – e David Carr del NY Times in Page One.

La convinzione che il giornalismo non sia più economicamente sostenibile, e che l’ineluttabile squallido destino dell’intera industria sia legato al rendimento di un crescente numero di banner lampeggianti su un sito web, è prontamente smentita dalla semplicità con cui VICE ha approcciato la narrativa di questioni spinose tramite la produzione di video originali e di elevata qualità di produzione. In molti casi i giornalisti si auto producono, cercano di formare delle competenze di post-produzione seguendo corsi nel tempo libero e confrontandosi con i colleghi, sfruttando i media digitali al servizio della narrativa.

In VICE non esiste una vera e propria linea editoriale, ci sono pochissime regole da rispettare, e molte sono da rompere. Forse è proprio la libertà dai vincoli della stampa tradizionale ad aver trainato il successo della testata, come per i tanti esempi di media company di successo cresciute negli ultimi anni. Vox Media, Byliner, Matter, VICE e altri hanno sfruttato la libertà da passati ingombranti per sperimentare modelli editoriali più agili, in continuo cambiamento, dai costi di produzione ridotti e ben concentrati sui fattori principali. La linea editoriale infatti è molto semplice, ed è tutta nelle parole di Al Brown, di VICE Uk, accolte con una risata dalla platea: “Il mondo è fottuto e ci sono un sacco di persone incazzate, questa è la nostra linea politica”

[do action=”quote” autore=” Al Brown, VICE Uk”]”Il mondo è fottuto e ci sono un sacco di persone incazzate, questa è la nostra linea politica”[/do]

Alla base del successo mondiale del disturbing documentary che a maggio 2013 ha portato scompiglio nell’amministrazione Obama, c’è sicuramente molto del motto di Al Brown. Il documentario che molti non hanno voluto girare sui comportamenti delle truppe americane in Afghanistan, è infatti un chiaro esempio di giornalismo senza freni nello stile di VICE

L’Italia sarebbe pronta ad adottare questo stile ? Probabilmente no, forse non avrebbe nemmeno interamente senso per il nostro stile di vita. Ma saremo almeno pronti a porci questa domanda?

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento