Uno sciopero contro il silenzio del governo (azionista) e della stragrande maggioranza della politica (con l’eccezione di Sinistra Italiana che giovedì ha incontrato i sindacati e appoggia la protesta). Otto ore di sciopero oggi alla Tim e manifestazione nazionale a Roma con la Questura che ha concesso ai sindacati per le 9,30 la piccola piazza della Bocca della Verità. Eppure a scioperare sono i 43 mila dipendenti di Tim – quinta azienda più grande del paese – e tanti altri dell’indotto per un totale di circa 80 mila con Slc Cgil, Fistel Cisl (assai più battagliera della confederazione) e Uilcom che si attendono almeno 5 mila persone.

UNO SCIOPERO CONTRO la decisione di separare rete e contenuti, il cosiddetto spezzatino che rischia di creare una azienda di serie B con decine di migliaia di possibili esuberi. Contro una governance aziendale sempre più ballerina dove i francesi di Vivendi – primi azionisti – sembrano interessati solo a far cassa e l’azionariato pubblico di Cassa depositi e prestiti non ha una strategia sul futuro. La lunga querelle seguita all’Opa – in realtà mai materializzatasi – di Kkr con la sfiducia a Gubitosi non è ancora terminata.

La goccia che ha fatto traboccare la rabbia dei sindacati è stata la recente audizione in parlamento del nuovo ad Pietro Labriola, con buona parte dei gruppi parlamentari che lo hanno appoggiato, nonostante avessero incontrato i sindacati pochi giorni prima.

«DI FATTO SI STA DISTRUGGENDO l’ex monopolista delle telecomunicazioni e 100 anni di storia industriale del paese – spiega Riccardo Saccone, segretario nazionale Slc Cgil – e non c’è uno straccio di dibattito pubblico su questo tema. Diciamo le cose come stanno: si sta prendendo un’infrastruttura importante del paese, se pensiamo che la digitalizzazione sarà il motore del futuro, ed è stato scientemente deciso di fare quello che è stato fatto in Grecia con le cattive e qui qualcuno ha deciso di fare le medesime cose con le buone: si prende la rete e la si separa dall’ex monopolista. Questa battaglia – continua Saccone – che stiamo facendo non è solo e soltanto a difesa dei posti di lavoro e dei perimetri occupazionali, ma per difendere le prospettive industriali del paese. In questo campo la concorrenza con Cina e America la puoi fare soltanto se hai un progetto europeo altrimenti è velleitario: a quel tavolo l’Italia non potrà sedere perché avrà un’azienda che si occupa semplicemente di vendere all’ingrosso connettività. Abbiamo richiesto ormai da diverse settimane anche con le firme dei nostri segretari generali un confronto con Palazzo Chigi, registro per la prima volta il fatto che non abbiamo ricevuto neanche un diniego. Solo silenzio. Il memorandum di agosto 2020, sempre sottoscritto da Tim e da Cdp con il placet del Mef, forse dava una soluzione alle brutture di una privatizzazione molto poco avveduta, lasciava un’azienda integrata come si fa in tutta Europa. Bisogna rompere la congiura del silenzio, anche di fronte ad un parlamento che ha deciso di auto esautorarsi da solo e questo è davvero grave», conclude Saccone.

«SIAMO DAVANTI AL SECONDO atto della privatizzazione di Tim – attacca Giorgio Serao, segretario nazionale Fistel Cisl – : il primo atto è avvenuto nel 1997, dopo 25 anni c’è il secondo atto avallando un’operazione finanziaria straordinaria che scaricherà il debito di Tim, accumulato per aver distribuito risorse a privati nel corso di questi anni, sulla collettività. Alla fine servirà a ristorare Vivendi, il socio francese che incasserà i soldi della vendita della rete e poi alla fine i cittadini italiani con la fiscalità generale ne pagheranno le conseguenze, senza avere le garanzie occupazionali per le persone che restano e sopratutto senza fare gli interessi generali del paese e senza avere una rete all’avanguardia. Tentano – continua Serao – pure di dividere i lavoratori perché c’è una parte che si sente più garantita, quella che va verso la rete, e ci sono altri 20 mila lavoratori che non riescono a capire quale sarà il loro futuro», conclude Serao.

«NOI NON SIAMO CONTRO un piano industriale, noi siamo contro qualcosa che non capiamo e che nessuno ci spiega in maniera dettagliata perché l’attuale gruppo Tim viene smembrato – attacca Luciano Savant Levra segretario nazionale Uilcom – . Ci sarà una newco che avrà, si vocifera, 20 mila dipendenti, la serco (società dei servizi, ndr) ne avrà altrettanti. Sulla prima abbiamo un problema: avremo una folta partecipazione di fondi che probabilmente avranno un peso maggiore dell’azionista pubblico Cdp. E poi rimangono i lavoratori della serco, della parte commerciale, che devono confrontarsi con realtà del settore molto più piccole. Attualmente i miliardi di debito della Tim sono 22 netti, come verrà spalmato questo debito? A noi nessuno lo dice, ci dicono: “Fidatevi di noi, non ci sono esuberi”. Il confronto all’interno del gruppo è: “Tutto può accadere, nulla può accadere”. Noi questa grandissima incertezza noi non la possiamo tollerare», chiude Savant Levra.