Nella definizione degli autori, il nuovo graphic novel della collana cosmica dell’editore minimum fax, Fortezza volante, è un romanzo di fanta-storia e retro-scienza. Il racconto prende le mosse da un fatto reale, la segnalazione della caduta di un oggetto misterioso dal cielo, a Vergiate, nell’anno 1933, ma si espande in modo tentacolare verso altri generi e mondi letterari: la fantascienza, la storia di spionaggio, il romanzo d’azione. Nel racconto di Lorenzo Palloni, disegnato da Miguel Vila il governo fascista mette a tacere l’accaduto e istituisce un gabinetto di Ricerca Speciale con a capo Guglielmo Marconi, che utilizzerà la tecnologia aliena per costruire armi con le quali sedurre gli alleati nazisti. Ne abbiamo parlato con gli autori, per la prima volta al lavoro insieme su un fumetto.

Come si giunge da uno spunto di realtà a una trama così complessa?
L.P. Quello che insegue il personaggio di Marconi- il MacGuffin, ovvero il movente narrativo- è un obiettivo scientifico. Entrati in contatto con una tecnologia aliena, i fascisti la vogliono usare per fabbricare armi. Del resto associare sviluppo tecnologico a creazione di armamenti è prassi comune.

L’idea scientifica è comunque un elemento di finzione che si innesta su un fatto realmente accaduto. Com’è nato questo progetto?
L.P. Proprio qualche giorno fa, il 13 giugno, ricorreva il novantesimo anniversario di questo evento, che alcuni storici stanno ancora studiando. Fortezza Volante nasce da un’idea dell’editor Carlotta Colarieti, che mi ha proposto di raccontare questa storia; io che da ragazzino ero molto fan della mitologia ufologica e di X-Files (serie dalla quale ho preso spunti per qualche elemento che è finito anche nel libro, come l’uomo falena e la macchinetta produci paura) ricordavo qualcosa di Vergiate e ho pensato che la storia potesse raccontare molte cose sul nostro presente. Sono risalito ad alcuni documenti degli anni ’90; inizia lì la bufala, anche se a Vergiate effettivamente al tempo del ritrovamento di quest’oggetto vennero collocati dei rilevatori. Mussolini nel ’36 inoltre dichiarò che i nemici stranieri dovevano «preoccuparsi del nostro esercito, non tanto delle nostre fantomatiche fortezze volanti», espressione dalla quale abbiamo preso il titolo. Non è mai stato chiaro quanto questo fatto sia legato per esempio a tutte le voci sull’attività di Marconi, al tempo già molto famoso, nella costruzione del raggio della morte- l’arma in grado di spazzare via un intero esercito. Del resto le bufale militari erano molto diffuse.

Diffondere un’informazione falsa e sensazionale per veicolare l’attenzione dell’opinione pubblica lontano dalle questioni più importanti è un meccanismo di controllo.
Esatto, depistare l’attenzione dei cittadini lontano dalle questioni significative è tutt’ora una strategia in voga tra le destre, serve a mobilitare più velocemente le masse. L’ipocrisia è molto vigente in un’Italia che è ancora un paese di destra e che mi interessava raccontare.

Dal vostro fumetto si evince anche che l’Italia ha un problema con la storia e con la memoria: per quanto protagonisti di scelte e fatti drammatici, tendiamo a scordarli e corriamo il rischio di ripetere gravi errori. Come avete trattato questo tema?
Mi piaceva che la storia e la memoria evaporassero, svanissero. Per me era un modo per dare risalto al leitmotiv del tempo, del quale tutti parliamo sempre, anche senza saperlo e che è una mia personale ossessione. A livello narrativo il tempo è la benzina e l’energia che utilizzano gli alieni, e come vedremo, il raggio della morte più che uccidere modifica lo scorrere del tempo. Il nostro è un paese assolutamente incapace di ricordare e per questo condannato a ripetere i propri errori; ne è un riferimento chiaro l’evoluzione del personaggio di Santina, ambiguo, metaforico, che invece di invecchiare, muta la propria forma.

Il vostro è un romanzo corale, ma organizzato per grandi dicotomie: due fratelli Aurelio e Attilio, ai lati opposti della storia; gli alieni e le SS, i fascisti e le spie etc. Mi viene da pensare che sia un modo per doppiare un manicheismo implicito alle ideologie del tempo, ma anche per metterlo in discussione. Che ne pensi?
Io e Miguel, con il quale abbiamo parlato a lungo di queste dicotomie: ho pensato a lui per questo progetto perché dopo aver letto Padovaland ho immaginato come avrebbe disegnato una storia ambientata negli anni ’30, come si sarebbe spostato dal racconto della periferia a una storia cosmica, dai suoi abituali corpi le cui imperfezioni iperrealistiche sfiorano il grottesco, alla liscissima perfezione delle navi aliene. Anche il suo gusto per il rosa mi aveva attratto subito. Lui ha letto la sceneggiatura-nella quale non ho inserito ritmo, descrizione delle vignette- si è trovato a suo agio anche con i personaggi, che come i suoi precedenti, non sono mai privi di difetti, e sono sempre totalmente ambigui. Quando un personaggio è del tutto positivo è una vittima-altro dettaglio molto italiano.
Infatti i personaggi sono molto caratterizzati, rotondi, ma c’è sempre un dettaglio che crea una piccola crepa…
Ci sono dettagli grafici che ricalcano l’ambiguità che era già presente nella scrittura. Miguel ha gestito la parte visiva in toto, come fa un regista; certi dettagli nei personaggi creano dei glitch, degli effetti inattesi, che spezzano la dicotomia di buoni contro cattivi, di destra contro sinistra.

Miguel Vila, la tua passione per il dettaglio, spesso legato agli aspetti carnali, ha una ricaduta importante sul racconto visivo, sul ritmo e sulla composizione della pagina. Qual è la funzione delle microvignette e dei riquadri?
M.V. Usare microvignette serve a dare più vitalità ai personaggi, a rendere più credibile la loro essenza nella storia; non mi ero mai occupato di alieni, ma scomporli in organi lattiginosi e in bizzarri geroglifici astrali mi ha permesso di contrapporli all’idea-ancora vigente- di un’Italia fascista un po’ scolorita.

Queste scelte cromatiche smorzate caratterizzano ambienti umani e alieni: quali criteri hai usato per scegliere le palette?
M.V. Quando ancora non avevo pensato a un character design, su proposta di Lorenzo mi sono ispirato alla vecchia palette monocroma dei vecchi filmati in stile Istituto Luce, ma non ero molto convinto perché sono abituato a usare molto colore; poi ho riflettuto meglio sull’ambientazione anni’30, un periodo molto austero, e ho deciso di tentare un metodo intuitivo che servisse a differenziare gli sbalzi temporali attraverso l’uso di più palette monocromatiche. La presenza degli extraterrestri, per esempio è legata al colore rosa.

Penso all’ultimo romanzo di Wu Ming, «UFO 78». C’è un rinnovato interesse per l’ufologia? Una nuova forma di escapismo, forse?
Credo che ci occupiamo molto di multiversi e di dimensioni parallele perché abbiamo ormai consumato questo mondo e guardare al futuro non è più tanto semplice…

Nelle parole di uno dei personaggi «Si è dentro o si è fuori»: un’affermazione fortissima, che storicamente sembra aver fallito…
Sì, soprattutto senza memoria, non si può semplificare. E questo secondo me è in realtà, il problema del nostro paese. Quest’idea malinconica del «dentro o fuori» porta alla violenza che abbiamo rappresentato nel libro, una realtà che non contempla ipocrisie. Ci sono scene esplicite di sesso e scene cruente; ci sono moltissimi legami e relazioni familiari, gerarchici, professionali tra i personaggi, ma soprattutto c’è forte l’idea che vivere dentro e per il fascismo su un piano collettivo, arreca violenza e fa esplodere la parte intima e emotiva delle nostre esistenze.