Alias

Odin Sphere Leifthrasir, a tavola coi Nibelunghi

Odin Sphere Leifthrasir, a tavola coi Nibelunghi

Games Giochi di ruolo giapponesi, il libro di fiabe elettroniche di George Kamitani

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 6 agosto 2016

 

Alice, una bambina in compagnia di un silente gatto nero chiamato Socrate, legge cinque vetusti tomi nella quiete polverosa della sua soffitta e quelle migliaia di parole si trasformano in un’ancestrale e rivoluzionaria esperienza videoludica per chi, davanti allo schermo, le immagina scorrere fluviali davanti al suo curioso sguardo di lettrice, filtrate da un’infantile, numerica fantasia per diventare la nostra visione e azione di giocatori. Nei cinque volumi vi è l’inizio della fine di Erion, terra favolosa di fate, nani, valchirie, giganti, maghi, dei, pincipi, draghi e fantasmi; un mondo ispirato alla mitologia nordica e variato dall’immaginazione nipponica dello studio Vanilla Software di George Kamitani , che prima dipinge a mano ogni elemento, cosa e creatura, trasformando poi i disegni in immagine digitale dalla malia cromatica così suggestiva da illuderci di giocare sulle illustrazioni di un libro di fiabe animate da un potente incanto cinetico.

Si tratta di Odin Sphere Leifthrasir gioco di ruolo d’azione per Playstation 4, remake sublimato di un videogame del 2007, il trionfo della fantasia pittorica sulla fotografia, dell’invenzione sul realismo, delle due dimensioni sulle tre, poichè come nelle opere elettroniche delle origini i personaggi che controlliamo scorrono orizzontalmente e verticalmente attraverso scenari bidimensionali, la cui abbondanza di dettagli è talvolta impossibile cogliere durante un primo passaggio. Ma siamo destinati a percorrere diverse volte gli stessi luoghi, poichè ciascuno dei cinque libri che compongono l’epopea racconta la stessa storia vissuta da personaggi diversi che la rivelano in ogni suo aspetto, fino al climax di un finale che risulta catartico quanto quello della tetralogia wagneriana. Non c’è tuttavia nessuna ombra di noia nel tornare a visitare posti già noti, non solo perchè le foreste incantate, i ghiacciai iluminati da una perenne aurora boreale, le lande desertiche luogo di antiche sciagure, i castelli elevati fino all’empireo, le profondità macilente dell’oltretomba, i fiumi di lava tra le rocce vulcaniche e i borghi decaduti sono disegnati con rara maestria ma perchè ogni volta li viviamo attraverso gli occhi, le emozioni e le azioni di un altro: la triste valchiria Gwendolyn figlia di un iroso e calcolatore Odino, la timida fata Mercedes, il principe Cornelius trasformato in coniglio antropomorfo, il nero cavaliere maledetto Oswald e la gentile strega orfana Velvet.

Siamo inoltre obbligati a combattere gli stessi nemici, talvolta invece alleati, cosa che potrebbe indispettire e che invece George Kamitani e il suo studio trasformano in uno dei punti di forza del videogioco, grazie ad un sistema di combattimento dalle dinamiche varie, spettacolari e coinvolgenti. Ognuno dei cinque personaggi possiede una speciale arma magica che garantisce un approccio marziale e tattico sempre diverso, inoltre é la storia narrata che arricchisce l’azione sfrenata di un significato superiore, dando alla frenesia della lotta contro i nemici un significato profondo, universale ed esistenziale. Non è solo con la lotta inoltre che si sale di livello, ma soprattutto con l’utilizzo delle cibarie; c’è un sofisticato sistema di nutrimento a base di decine di prelibatezze illustrate ad arte e coltiviamo semi per vederli germogliare in frutti fantastici, otteniamo le ricette di rare pietanze e gli elementi che le rendono cucinabili, sediamo a lungo al tavolo di uno strambo ristornante il cui cuoco compare dal nulla portandosi dietro il necessario per approntare i suoi meravigliosi pasti: gamberetti piccanti, bolliti, gnocchi, mousse di rari frutti, omelette, cosciotti di agnello grigliati o insalate. Il momento della libagione concede una stasi squisitamente culinaria, rilassante e lenta durante la quale meditare sulle oscure vicende del gioco, mentre osserviamo il pasto venire consumato diventando così più forti, saggi e potenti. Come in Muramasa, un altro capolavoro del disegno travestito da gioco, George Kamitani ci dimostra ancora una volta la sua passione per l’eleganza, l’arte e la magnificenza estetica di una ricetta cucinata con amore.

Attraverso quasi cinquanta ore di un’epica che oscilla tra quella dell’Edda di Snorri, il Lang nibelungico e Dragonball viviamo sofferenze amorose, tradimenti, colpi di scena tragici, lutti, struggimenti esistenziali, vendette e redenzioni in una cornice pre-apocalittica laddove la fine del mondo è prima una questione intima che cosmologica, quasi insignificante se non quando infine si attua davvero. Se mettiamo a confronto il dolore dell’individuo con la crudele idiozia della catastrofe, scaturisce una corrispondenza poetica tra la sofferenza del quintetto di Odin Sphere Leifthrasir e quella di Brunilde sulla pira di Siegfried, mentre attorno ad ella il cielo si infiamma luttuoso del crepuscolo degli dei. In molti videogame l’arte oscura il gioco o viceversa, qui c’è il mirabile equilibrio di un antico arco che non cede al tempo e alla rovina.

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