Visioni

Occhi indiscreti nel labirinto oscuro dei sentimenti

Occhi indiscreti nel labirinto oscuro dei sentimentiUna scena di "Stranger eyes" di Yeo Siew Hua

Al cinema Arriva nelle sale "Stranger eyes" di Yeo Siew Hua, passato in concorso a Venezia

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 14 novembre 2024

Una nonna riprende in un parco la nipotina, manifestando affetto e ossessione, come spesso capita quando non si riesce a modulare il proprio amore. I genitori della piccola assecondano l’aspirante regista, cercando di trattenere disagio e fastidio. Scopriremo in seguito che altri frammenti della loro quotidianità saranno catturati da un misterioso osservatore con una sua storia, con un percorso che lo ha condotto a intercettare traiettorie precedentemente ignote.
Subito dopo, sapremo che quel video si riferisce a un passato non troppo remoto, in un’epoca dove tutto sembrava al proprio posto, quando la bambina non era ancora scomparsa. Ora, capiamo che in quel video girato dalla suocera, la madre cerca disperatamente un dettaglio, qualcosa che possa regalare un inatteso indizio. Purtroppo, le mere apparenze non rischiarano le oscurità, non sollevano il velo dalla verità.

IN CONCORSO alla Mostra del Cinema di Venezia, Stranger Eyes scritto e diretto da Yeo Siew Hua (Pardo d’Oro al Festival di Locarno nel 2018 con A Land Imagined) potrebbe essere definito un thriller con un drammatico mistero da risolvere e, al contempo, un dramma famigliare nel quale si rivelano progressivamente le inquietudini di una giovane coppia. Attribuzioni corrette poiché, appunto, abbiamo a che fare con un rapimento, con delle indagini che lentamente ricostruiscono l’accaduto, con un uomo e una donna che, impreparati al loro compito, interpretano più ruoli nella vita, indecisi se prendere una direzione o l’altra.
Stranger Eyes, però, è anche un film sul vedere e l’esser visti, sulla reciprocità dello sguardo, sull’inseguire e l’essere inseguiti, sull’attivo e il passivo, sulle storie che, in questi continui ribaltamenti, si moltiplicano e frantumano una realtà già fragile. Se in prima battuta, responsabili di questa copiosa produzione di punti di vista sono le videocamere piazzate ovunque, gli smartphone pronti a registrare indistintamente tutto quello accade, con lo svolgersi del racconto, si comprende che il caos è nel cuore e nella mente delle persone, nel loro incerto incedere, nel faticoso prendere posizione nel mondo che, in questo caso, corrisponde a Singapore, ma potrebbe essere ovunque.

Un rapimento e un mistero da risolvere in un dramma famigliare

UNA BAMBINA è scomparsa, dunque. Due genitori non si danno pace e la cercano. La polizia agisce pazientemente. Un uomo spia la coppia, forse sa dov’è la loro figlia, forse no. La città è dominata da videocamere. Il film pare girare intorno a questi personaggi e oggetti, e promette una spiegazione che ristabilirà un ordine. Invece, si apre sorprendentemente ad altre soluzioni, smentendo ciò che pensavamo di aver compreso. Perché alla morbosità, alla solitudine che sfiora il solipsismo, alla privazione di un senso, si sovrappone d’incanto l’attenzione per il prossimo, ossia quella scintilla che improvvisamente agita le relazioni. E allora quelle immagini sfocate da narrazione distopica un po’ stereotipata, cede il passo a sentimenti, demoni, tormenti, desideri ossia ai corpi di donne e uomini e non alle loro figure digitali.

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