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Occhetto: «È stato pioniere del populismo»

Occhetto: «È stato pioniere del populismo»Il confronto tv del 1994 tra Berlusconi e Occhetto – Ansa

Intervista L’ultimo leader Pci: come un apprendista stregone ha portato al governo la destra estrema. La sinistra non ha capito la sua novità. E' stato un leader di tipo sudamericano, dal volto benevolo ma capace di cattiveria, che saltava sui temi senza una coerenza di linea politica. La sua epoca si era già chiusa con l’arrivo al governo di Fdi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 giugno 2023

Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci e primo del Pds, fu il primo leader di sinistra a sfidare Silvio Berlusconi nelle urne nel 1994.

A quasi trent’anni da quell’esordio, è stato un leader conservatore o innovatore?

Un innovatore della conservazione. A mio parere non ha traghettato l’Italia dalla prima alla seconda repubblica, ma dalla repubblica dei partiti al primo esperimento europeo di populismo di cui è stato il fondatore.

Cosa intende per populismo, una parola che ha assunto molteplici significati?

Un populismo di tipo sudamericano, dal volto benevolo, a tratti simpatico, ma capace di cattiveria, che sa usare di volta in volta temi popolari per costruire il consenso, a prescindere da una visione organica di linea politica. Anche in politica estera saltava sui temi, in modo sporadico, senza alcuna coerenza. E questo tratto è emerso subito, fin dal 1994. Ricordo che nel nostro confronto tv prima delle elezioni, io usai le categorie della dialettica politica tradizionale, compresa la pacatezza del ragionamento, lui invece lanciò due sassi come l’inesistente pericolo comunista e la promessa di un milione di posti di lavoro. Un linguaggio che i leader della Dc non avrebbero mai usato. La maggioranza degli italiani gli credette non sul piano razionale, ma per la fiducia in una personalità mitica, l’uomo che si è fatto da solo e ha costruito un impero economico.

Vinse le elezioni dopo pochi mesi dalla fondazione di Forza Italia. Vi spiazzò.

Seppe mettere insieme i superstiti del pentapartito con due movimenti antisistema, uno nazionalista e uno secessionista, accomunati solo dal giustizialismo. Riuscì a riempire il vuoto lasciato dalle forze che avevano governato fino ad allora: non fu un’azione improvvisata, ma ben preparata e sostenuta da forze palesi e anche oscure. Di certo l’establishment economico rimasto orfani di riferimenti politici scommise su di lui. Agnelli, che pure non lo amava, disse: «Con lui vinciamo tutti, se perde perde da solo». Quell’establishment lo vide come ultimo baluardo per evitare una svolta progressista.

Questo fu il debutto. Ma nel 2023 che lettura dà della sua parabola politica?

Non mi pare che abbia lasciato un segno profondo delle cose fatte. Però ha fatto entrare la destra dentro un progetto che si definiva moderato e liberale, è stato il mallevadore dell’avvento al potere dell’estrema destra. Ma non mi stupisce: in quel liberalismo che pretendeva di citare Gobetti c’era la torsione della parola liberale in libertà dalle regole, dai controlli, dallo stesso Stato. In poche parole in arbitrio.

La sinistra ha saputo prendere le misure a questo fenomeno?

Non è mai stata in grado di fare una analisi sistemica del berlusconismo, si è limitata a una critica moralistica e superficiale, vagheggiando allo stesso tempo di fare le riforme costituzionali con lui, come con la Bicamerale, considerandolo un normale attore della scena politica. Non si è capito il mutamento strutturale portato da questa prima forma di populismo europeo che poi è stata seguita da Trump.

La destra di Meloni però è andata al governo in competizione con Berlusconi, che ha lottato fino all’ultimo per conservare la guida di quel campo.

Come tutti gli apprendisti stregoni ha dato vita a creature che poi gli si sono rivoltate contro. Ma questo appunto è già avvenuto. Con la scomparsa di Berlusconi non si chiude un’epoca, quella cesura è già avvenuta prima con Salvini e poi con le elezioni del 2022 e l’arrivo di Meloni a palazzo Chigi.

Quale lezione può trarre la sinistra dalla vicenda politica del leader di Forza Italia?

L’insegnamento è non dimenticare mai i profondi rischi del leaderismo, che non riguardano solo le destre.

Lei che ricordo personale conserva?

Lo scontro politico è stato aspro ma civile, sul piano umano non è mai stato sgradevole. Non l’ho mai attaccato su questioni personali, ma ritengo sul piano politico che la sua opera non sia stata positiva per il paese. Questo non mi impedisce di essere addolorato per la sua scomparsa e di esprimere cordoglio alla sua famiglia».

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