L’Affordable Care Act sta alla presidenza Obama come l’uragano Katrina a quella di George W. Bush. Mettere a confronto una riforma legislativa complessa e di portata storica, su cui si è lavorato tre anni, con un improvviso disastro naturale (come ha fatto sul New York Times di ieri un collaboratore dello scorso presidente Usa) non sembra sensato. Ma l’auspicio che si cela dietro a questa equazione ipotetica (immediatamente ripresa con delizia tra le file repubblicane) è che il catastrofico debutto della «sua» riforma sanitaria affondi Obama come la catastrofica conduzione dei soccorsi di Katrina fece con Bush. Due presidenti diversi che gestiscono in modo fallimentare due cruciali interventi del governo.

Che l’Obamacare sia un fallimento è ancora tutto da provare – non si è nemmeno arrivati alla prima scadenza per iscriversi ai nuovi piani assicurativi, e cioè il 15 dicembre prossimo, e i veri effetti di una riforma del genere vanno letti per accumulo nell’arco di almeno qualche anno. Certo, però, che Obama e la sua amministrazione non stanno facendo molto per aiutare il successo di questa povera legge. Dopo l’imbarazzo plateale del sito che non funzionava (e non funziona ancora del tutto – anche se entro il 30 novembre pare garantito un sostanziale miglioramento), con un discorso straordinario alla nazione, mercoledì, Obama cercava di correre ai ripari da una seconda coltellata autoinflitta, e cioè quella delle polizze cancellate. Di fronte al furore di chi si è visto revocare la copertura assicurativa e proporre una versione sostitutiva «a norma di legge», ma molto più cara o che non permetteva di continuare a usare i propri medici, il presidente Usa ha annunciato che le polizze preesistenti potranno ancora essere mantenute per un anno.

Non è chiaro se le compagnie assicurative accetteranno questa deroga in corsa (le lettere di cancellazione sono partite, «la macchina», è in movimento dicono i portavoce di settore), ma era l’unica cosa che Obama poteva fare per arginare la nuova crisi. E cercare di impedire che il Congresso gli chieda emendamenti più sostanziali che intaccherebbero ancor di più il suo pacchetto legislativo mettendone a repentaglio l’intero esito.

Dopo aver incessantemente promesso, nei mesi che hanno preceduto il passaggio dell’Affordable Care Act, che chiunque fosse stato soddisfatto del proprio piano assicurativo avrebbe potuto mantenerlo inalterato, Obama ha dovuto ammettere che si era sbagliato e che non era proprio così; almeno per il 5% degli americani attualmente assicurati, ma la cui sanità non è coperta dal datore di lavoro. Sulla carta, il 5% sembra una percentuale piuttosto piccola: il problema è che gran parte del successo della riforma dipende proprio dalla capacità di attirare nei nuovi consorzi assicurativi quel 5% e i self employed come loro non ancora dotati di copertura. Infatti, i costi delle polizze istituite con la nuova legge scenderanno in modo sostanziale solo se ci sarà un numero sufficiente di persone (preferibilmente giovani e sane) disposte ad acquistarle. Di fronte a questo semplice dato, cautelarsi contro l’eventualità di polizze cancellate o rincari, rispetto a situazioni già esistenti, sarebbe stato il minimo.
Nata contro l’ostilità compatta di uno dei due partiti al governo, e disegnata sulla base di un’architettura complessa e rischiosa di intervento pubblico e interesse privato (assicurazioni, industria farmaceutica, ospedali…), l’Obamacare sarebbe un castello fragilissimo comunque. Questo varo all’insegna dell’inettitudine più sconcertante non fa che minarne le chances. Non importa quanto Obama si scusi in tv: la sua spesso evocata visione di un governo smart, e cioè intelligente e agile, sta rischiando di diventare una barzelletta, lasciando il posto alla caricatura, favorita dai repubblicani made in 2013, di una burocrazia federale tutt’altro che smart – anzi, antiquata, oppressiva e incompetente. Il che è assurdo (Obama ha vinto due volte grazie a una macchina elettorale iper innovativa), ironico (il frequente paragone con Roosevelt…) e ingiusto, perché di questa riforma sanitaria c’è un bisogno enorme.

In risposta al discorso del presidente, la Camera (a maggioranza repubblicana) ha immediatamente introdotto e approvato un emendamento che non solo mantiene in vigore per i già iscritti gli attuali piani assicurativi «fuorilegge» fino alla fine del 2014. Ma che ne consente la regolare vendita. Il che ovviamente andrebbe a sabotare la riforma. Difficilmente questa iniziativa passerà in senato, a maggioranza democratica, e comunque Obama metterebbe un veto. Ma i repubblicani hanno in mente le elezioni di midterm dell’anno prossimo, e la possibilità di conquistare entrambe le camere del Congresso, usando l’eventuale debacle dell’Obamacare come cavallo di battaglia. Con lo stesso pensiero in testa alcuni democratici in scadenza nel 2014 stanno cominciando a manifestare riserve sulla legge così com’è.