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Obama sull’accordo iraniano: «Risultato più importante dei decenni di ostilità»

Obama sull’accordo iraniano: «Risultato più importante dei decenni di ostilità»

Stati uniti Il Congresso ha 60 giorni per l’approvazione

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 15 luglio 2015
Luca Celada LOS ANGELES

«Non saranno gli anatemi lanciati dai politici di Washington a risolvere i problemi» ha detto ieri Obama dalla Casa bianca. «Per impedire all’Iran di costruire un arma atomica ci sono volute diplomazia a muso duro e leadership unificata delle potenze mondiali».

È stata una delle numerose stoccate del presidente ai propri avversari politici, nell’annunciare un accordo storico.

Dopo le aperture a Cuba e Birmania, l’accordo iraniano è l’ultima iniziativa di una «Pax obamiana» che mira a sostituire l’engagement diplomatico all’eccezionalismo interventista neocon che ha caratterizzato la politica del suo predecessore. «Abbiamo ottenuto di più con questo accordo che con decenni di ostilità» ha ribadito Obama che come ama fare, nell’annuncio ha citato Kennedy («Non dobbiamo mai trattare per paura, ma non dobbiamo mai avere paura di trattare»). La massima di Jfk si riferiva ai primi negoziati nucleari con l’Urss, mentre l’accordo iraniano veniva paragonato al pragmatismo «cinese» di Richard Nixon.

Gli ha fatto eco lo speaker della camera John Boehner: «Questo patto non fa che incoraggiare l’Iran, il principale sponsor mondiale di terrorismo, legittimando un regime votato alla diffusione di violenza e instabilità nella regione». Allineati anche i numerosi candidati alle primarie repubblicane. Lindsey Graham – falco e integralista teocon – ha parlato di «abilitazione di nazisti religiosi», Marco Rubio ha criticato un «negoziato debole con un regime macchiato di sangue».

Del resto nel marzo scorso Boehner, senza consultare la Casa bianca aveva offerto il podio del congresso a Netanyahu per un comizio elettorale anti-iraniano. 47 senatori repubblicani erano giunti allora a spedire una lettera al presidente iraniano avvertendolo di non contare su una ratifica di eventuali accordi. L’annuncio preventivo fatto ieri da Obama di porre il veto a qualunque iniziativa legislativa mirata a deragliare l’accordo è certamente in parte stata una risposta a quegli atti di insubordinazione. Di fatto il congresso ha ora 60 giorni per approvare o respingere il «trattato di Vienna».

Il veto promesso da Obama li obbliga però ad una super maggioranza di due terzi praticamente impossibile da ottenere. Da canto suo l’amministrazione e i democratici hanno interesse ad ottenere una maggioranza al «primo turno» senza dover ricorrere al melodramma politico di un azione esecutiva. Obama conterà sull’appoggio della sinistra, in parte anche quella delle lobby pro-israeliane: l’associazione jewish-liberal J Street ha annunciato il proprio sostegno. Tiepida invece, al limite della freddezza, è stata Hillary Clinton che ha parlato di «importante primo passo» e «punto di partenza».

Parole scelte attentamente a dall’ex Segretario di stato, protagonista delle prime fasi dei negoziati e che ieri ha voluto soprattutto impostare una propria identità separata da quella di Obama. Al di là delle manovre politiche destinate a dominare i prossimi due mesi, l’accordo iraniano ha messo in luce una volta di più i fondamentali divari ideologici che dividono l’America. Malgrado le dichirazioni la fazione oltranzista non promuove alcun accordo alternativo ma auspica il mantenimento dello status quo: uno stato permanente di conflitto con un Iran isolato su commissione degli alleati storici regionali. Una politica mediorientale fondata sulle alleanze con Israele e la dittatoriale oligarchia sunnita di Ryad; una geopolitica basata sulle demagogie degli «stati canaglia» ormai tragicamente anacronistica.

Non a caso da Gerusalemme Netanyahu ha tuonato contro l’accordo. La risposta di Obama è contenuta nel suo discorso: «Questo accordo offre l’opportunità di muoverci in una nuova direzione. Abbiamo il dovere di sperimentare se in questa regione martoriata esista la possibilità di provare una direzione diversa». Nel panorama di equilibri calcificati che producono disequilibri sempre più estremi un maggiore coinvolgimento iraniano potrebbe effettivamente costituire una delle ultime possibili alternative geopoliticamente innovative, e contro la quale, proprio per questo, sono allineati tanti interessi regionali e americani.

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